Insediatosi il nuovo Governo a larghe intese, dopo le prime scelte necessarie per tamponare l’emergenza e per incassare un pur condizionato assenso dall’Europa, si entra a pieno ritmo nella fase delle riforme necessarie per ridare al Paese istituzioni credibili ed efficaci.
Credibilità. Lo stacco tra Paese reale e Paese legale che ha visto il suo apice nei mesi passati, sia durante la campagna elettorale sia nelle settimane immediatamente successive, reclama a gran voce il cambiamento; complice una legge elettorale dissennata, l’assetto del Parlamento ha infatti mostrato una totale distanza dal sentire della gente acuendone la ormai cronica mancanza di peso istituzionale.
Delle due funzioni classiche del potere legislativo, vale a dire la produzione normativa da un lato e il concorso alla definizione dell’indirizzo politico dall’altro, è rimasto poco nulla. Riformare la prima è quanto mai necessario tramite un ripensamento del procedimento legislativo (e la relativa ridefinizione del ruolo delle due Camere); quanto alla seconda, abbiamo visto come abbia pesato nelle scelte politiche più recenti il Presidente della Repubblica, senza del quale né il vertice del nostro Stato né il Governo avrebbero visto la luce. Di conseguenza, il ruolo di protagonista che tradizionalmente compete ai partiti presenti in Parlamento, luogo primigenio in cui si manifesta la sovranità popolare, ha subito una torsione importante conferendo a Napolitano una posizione di assoluta dominanza sostanziale, pur incanalata dentro procedure costituzionalmente inappuntabili e gestite in modo condiviso.
In questa situazione, la ricomposizione di una solida credibilità istituzionale – che poggia sui pilastri classici della forma di governo: la legge elettorale (cui prima o poi si metterà mano seriamente dopo le prime scaramucce postelettorali), la riforma dei partiti (già in parte prefigurata dal ddl governativo in materia) e le norme costituzionali – necessita di una ristrutturazione dei nessi tra Parlamento, Governo e Capo dello Stato. Quasi a riflettere a specchio quanto gli avvenimenti recenti ci hanno posto dinnanzi, si profila – rispetto a quest’ultimo tema – una opzione forte a favore del presidenzialismo, parola non familiare al sistema italiano, per tradizione fortemente orientato verso sistemi di governo parlamentari, almeno sul piano nazionale, ma oggi più che mai densa di promesse.
Oltre ad apparire come una sorta di sanzione all’evoluzione naturale subìta dalle istituzioni nostrane, per quanto sopra ricordato, essa segnala infatti la presenza di una forte volontà di rompere con il passato, producendo un vero e proprio cambio di paradigma rispetto al sistema vigente per andare verso un modello dotato di forti caratteri di efficienza.
Efficienza. I sistemi presidenziali – pur molto differenziati nelle loro attuazioni concrete – si presentano infatti come sistemi quasi naturalmente orientati all’efficienza, soprattutto a causa della figura monocratica che domina il centro del sistema istituzionale. In essi l’efficienza ben si coniuga con tratti di semplicità istituzionale (visibilità della figura del Presidente e delle sue decisioni) e di trasparenza nei meccanismi di legittimazione (elezione diretta del capo dell’esecutivo).
Niente di paragonabile, a prima vista, con i farraginosi sistemi parlamentari, che faticano ad identificare i propri leader, che alterano tramite sistemi elettorali imperscrutabili il rapporto tra elettore ed eletto e che lasciano spesso il governo in balia degli umori e degli interessi delle assemblee (in Italia numerosissime e quindi portatrici di interessi molteplici e spesso contraddittori).
Ora, perché il presidenzialismo sia poi in grado di mantenere tutte le promesse sopra elencate occorre che la sua realizzazione si muova insieme con tutti i fattori che occupano il campo; non sarà infatti sufficiente fare una sola scelta, per quanto forte, in sede costituzionale se non si mettono a sistema anche gli altri elementi della forma di governo, dalla legge elettorale allo statuto dei partiti. Anche l’insieme dei contropoteri andrà riconfigurato in un’ottica di check and balances necessaria a non creare squilibri: regioni, controllo di costituzionalità, statuto dell’opposizione in Parlamento, sistema delle fonti, e altro ancora, sono tutti elementi da tener presente per far si che da un’idea importante emerga uno stato di fatto (efficiente e credibile) che possa sostenere il Paese nell’uscire dalla crisi in cui si dibatte.