Alla fine, la doccia fredda per Berlusconi è inesorabilmente giunta. La seconda sezione della Corte d’Appello di Milano ha anch’essa ritenuto che l’ex premier sia colpevole di fronte fiscale, confermando la sentenza di primo grado. Berlusconi, quindi, nell’ambito del processo sui diritti tv Mediaset è stato condannato a quattro anni di reclusione (tre dei quali sono coperti da indulto) e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. E’ stata confermata, inoltre, la provvisionale di 10 milioni di euro che il Cavaliere dovrà versare a favore dell’Agenzia delle Entrate in solido con le altre tre persone condannate. Secondo il collegio giudicante, Mediaset acquisiva diritti di film girati negli Usa attraverso delle società offshore. Questa le cedevano ad altre società gemelle. Ad ogni passaggio, i prezzi lievitavano, il che consentiva di ottenere dei fondi neri. Ora, con ogni probabilità, il collegio difensivo chiederà la sospensiva della pena e sarà fatto ricorso in Cassazione. Abbiamo chiesto a Stelio Mangiameli, professore ordinario di Diritto costituzionale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Teramo, cosa ne pensa di tutta la vicenda.



C’era da aspettarsi una sentenza del genere?

Era evidente che il processo stava prendendo questa piega.

Da cosa?

Dalla celerità con cui si è passati dal primo grado all’appello, interrotto solamente da una richiesta di legittima suspicione. Insomma, si è trattato di una sentenza già scritta.

Quali sono, normalmente, i termini entro i quali viene celebrato un processo?



Ogni grado dura almeno diversi anni. In questo caso, invece, si è passati dal primo al secondo nell’arco di un anno.

Perché i giudici hanno agito con tale solerzia?

La presidenza del Consiglio aveva sollevato un conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte Costituzionale per chiedere che fosse annullata la decisione con la quale i giudici di Milano, nell’ambito del processo Mediaset, non considerarono legittimo impedimento un’assenza in udienza di Silvio Berlusconi risalente al primo marzo 2010, mentre era impegnato a presiedere un Consiglio dei ministri. Ebbene, presumibilmente, i giudici hanno cercato di far sì che la sentenza relativa al caso Mediaset giungesse prima del pronunciamento della Corte.



Che motivo ne avevano?

Tanto per cominciare, tutto quello che viene accertato, anche laddove gli effetti giuridici dovessero decadere, resta in qualche misura consolidato. Detto questo, è difficile stabilire se siano state effettuate valutazioni attinenti al prestigio della magistratura, o valutazioni politiche da parte del collegio giudicante. Il problema è che la materia è connotata da un “inquinamento” elevato al punto da rendere pressoché impossibile comprendere in maniera cristallina la dinamica degli eventi. Quel che è certo è che, negli ultimi 20 anni, Berlusconi è stato l’uomo politico più importante e che, tuttora, ha un ruolo di grande rilievo: ha consentito l’elezione del presidente della Repubblica e la nascita del governo. E’, altresì, certo, che negli ultimi 20 anni ha subito una serie di attacchi da alcuni pm a raffica continua. La magistratura, dal canto suo, nel medesimo periodo, è stata refrattaria a qualsiasi ipotesi di cambiamento, mentre la giustizia italiana non brilla di certo per coerenza od oggettività.

 

Cosa intende?

Più volte le Corti di giustizia internazionali hanno certificato come il nostro sistema faccia acqua da tutte le parti: basti pensare al numero elevatissimo di riforme in appello delle sentenze penali o ai tanti magistrati che entrano in politica.

 

Ora cosa succede?

Con ogni probabilità i legali di Berlusconi presenteranno ricorso in Cassazione, che deciderà se accettarlo o meno in base ad eventuali riscontri di vizi di legittimità nell’agire dei giudici di primo o secondo grado. E, laddove dovesse ravvisare l’errata applicazione di principi giuridici, potrà cassare la sentenza. 

 

(Paolo Nessi)