La parabola elettorale del Pdl, dopo la rimonta semimiracolosa delle politiche, è entrata nella fase calante. Ha perso pressoché ovunque e, dove non ha perso, al ballottaggio il candidato del centrosinistra parte in vantaggio. Per quanto riguarda la Lega, invece, parlare di semplice calo sarebbe eufemistico. Abbiamo chiesto a Luciano Ghelfi, giornalista del Tg2, cosa sta accadendo al centrodestra.



Da cos’è dipesa la sconfitta del Pdl?

Semplice, non c’era Berlusconi.

A Brescia c’era.

Sì, ma quella manifestazione, prevalentemente, è stata percepita come divisiva. In generale, in ogni caso, alle amministrative l’assenza del nome di Berlusconi sulla lista ha sempre pesato. L’ex premier dunque continua a rappresentare il maggior fattore di forza e, al contempo, di maggiore debolezza del partito. Quando fa campagna elettorale, conquista milioni di voti; quando non c’è, il Pdl perde.



Eppure, il Pd, in questa fase, dovrebbe essere ai minimi storici.

Sì, ma a livello locale continua a disporre di amministratori più conosciuti e apprezzati. Ci sono stati, infatti, svariati casi di vittoria al primo turno di sindaci del Pd che si ricandidavano. Queste elezioni rappresentano una bocciatura della classe dirigente locale del Pdl, salvo, evidentemente, alcune eccezioni.

Il Pdl, quindi, è rimasto fermo a vent’anni fa.

Indubbiamente. Non ha ancora superato la fase di transizione da partito fondato sul carisma del leader a partito strutturato in senso tradizionale. Del resto, Berlusconi non ha fatto nulla per accelerare questo passaggio. Salvo, a dire il vero, l’averci tentato in un certo momento, per poi rendersi conto che l’operazione Alfano non aveva dato i risultati sperati. Non dimentichiamo che da Natale al 24 febbraio, tornando in campo, è riuscito a far passare la coalizione di centrodestra dal 15 al 30 per cento.



Il fatto che il Pdl sia al governo e che sia stato il principale promotore delle larghe intese quanto ha influito sull’andamento elettorale?

Sulle amministrative, molto poco. La gente si è regolata, semplicemente, sulla base dell’offerta politica. E questo ha giustificato anche l’astensionismo. Mentre le elezioni politiche rappresentano una chiamata alla armi a cui non si può mancare, le comunali sono molto meno sentite.

 

Cos’è accaduto, invece, alla Lega? Normalmente, la sua forza è sempre stata il radicamento sul territorio.

A dire il vero, la Lega ha sempre ottenuto un discreto successo nei Comuni relativamente piccoli, specie quelli della fascia pedemontana. In quelli sopra i 50mila abitanti ha sempre sofferto. Le elezioni in cui tradizionalmente è andata bene sono le politiche. In queste circostanze si è aggiunta una palese crisi della leadership, messa in discussione da focolai di polemiche potenzialmente esplosive, come quello in Veneto, dove Zaia e Tosi sono, ormai, praticamente ai ferri corti. Per non parlare dello scontro sempre più aperto tra bossiani e maroniani. Tutto ciò è stato severamente punito dall’elettorato leghista costituito, soprattutto, da piccole e medie imprese e lavoratori autonomi. Se chi era abituato a votare il Carroccio alle ultime politiche si è spostato sull’M5S, questa volta è rimasto a casa.

 

La Lega, attualmente, governa la Lombardia, il Piemonte e il Veneto. Com’è possibile che abbia subito un tale tracollo nel suo momento di massimo splendore?

Non dimentichiamo che le Regionali sono state un capolavoro di strategia politica e di tattica. E’ stata l’alleanza con il Pdl a rendere possibile il massimo raggiungimento di potere sul territorio.

 

Il risultato deludente del Pdl potrebbe ripercuotersi sulla tenuta del governo?

Al contrario. E’ probabile che placherà i bollenti spiriti di quanti vorrebbero tornare alle urne a breve.

 

L’andamento elettorale potrebbe condizionare i rapporti tra Lega e Pdl?

Non è questo il momento in cui possono essere messi in discussione. Governano insieme tre grandi Regioni, mentre nell’ipotesi di un imminente ritorno alle urne una divisione non avrebbe alcun senso. 

 

(Paolo Nessi)