A molti nelle segreterie dei partiti devono essere fischiate forte le orecchie nel sentire il presidente della Repubblica attaccare frontalmente e dire che non ha alcuna intenzione di rivivere l’incubo di un parlamento che pesta l’acqua nel mortaio ed è incapace di fare quelle riforme di cui, a parole, tutti dicono di vedere l’assoluta necessità.
Nell’intervista concessa a Eugenio Scalfari, Giorgio Napolitano suona la campanella dell’ultimo giro: il tempo concesso alla politica per mettere in moto un meccanismo di profonda autoriforma non è infinito e sta scorrendo rapido. Lui, il Capo dello Stato, ricorda a tutti di essere stato quasi costretto a accettare la rielezione, ma di non avere intenzione di rimanere fermo immobile al Quirinale a guardare. Il suo sì è stato strappato di fronte a un solenne impegno a procedere a una revisione profonda della nostra Carta fondamentale, che – qualora venisse meno – renderebbe inutile la sua permanenza al Colle.
Il monito è rivolto ai frenatori di destra e di sinistra, e vuole richiamare alla necessità di ridare credibilità alla politica. Una credibilità scesa ai minimi storici, come conferma la scarsissima affluenza alle urne che si registra anche in questo turno di ballottaggio per le elezioni amministrative.
Speranza del presidente Napolitano è che, archiviato questo voto con effetti tutt’altro che traumatici per il Pd e tutt’altro che lusinghieri per il Pdl, ci si possa finalmente sedere attorno a un tavolo e ragionare. Le bandiere, è stato l’esplicito richiamo del Capo dello Stato, in questa fase devono smettere di sventolare e bisogna lavorare ad una soluzione di compromesso, perché su alcuni terreni fondamentali serve il consenso più largo. Solo dopo questa fase particolare ognuno riprenderà la sua strada. Per ora, però, occorre far vivere questo governo per un’esigenza minima di stabilità istituzionale “e direi quasi di sopravvivenza istituzionale e del paese”.
Nel pensiero di Napolitano, dunque, i piani rimangono due, ma inequivocabilmente intrecciati. Uno vede la necessità di far ritornare la crescita economica al centro dell’attenzione, senza vanificare i tanti sforzi messi in campo sulla via del rigore e del risanamento dei conti pubblici. Il secondo piano è quello, appunto, delle riforme istituzionali. Un piano su cui non c’è solo il pungolo del Quirinale, ma anche la spada di Damocle della Corte costituzionale la quale potrebbe presto suggerire correttivi urgenti a una legge elettorale pessima, che però non si riesce a cambiare.
Con ogni probabilità l’orizzonte che Napolitano immagina per trarre un primo bilancio è di un paio di mesi. Se da qui alla pausa estiva dei lavori parlamentari il disegno di legge che il governo ha approntato per delineare il percorso delle riforme sarà stato approvato in prima lettura da entrambi i rami del parlamento, tutto bene, anche perché nel frattempo saranno entrati nel vivo e nel merito i lavori della commissione dei 35 saggi designati da Enrico Letta. A quel punto Napolitano, esperto della vita parlamentare, si disporrà di buon grado ad attendere quei 18 mesi delineati dal governo come il tempo necessario a fare le riforme costituzionali. Un’attesa vigile, ma fiduciosa che la macchina sia finalmente in moto.
Al contrario, se la palude dovesse prevalere e la macchina delle riforme risultasse ancora impantanata, a quel punto la pressione del Quirinale si farebbe fortissima sulle forze politiche, senza distinzione alcuna.
In questa fase, dunque, l’ombrello del Colle è più che mai aperto sul governo di Enrico Letta, cui si chiede uno sforzo di tutti gli uomini di buona volontà che lo compongono per dare risposte alle emergenze economiche e sociali che attanagliano il paese. Tanto Letta, quanto Napolitano di questo sono perfettamente consapevoli. Ma proprio attraverso il governo, e in particolare attraverso la commissione dei 35, sulla Camera e sul Senato arriverà la pressione del capo dello Stato sotto forma di bozza di riforma da scrivere nel lasso di tempo necessario al Parlamento per approvare la legge costituzionale. Napolitano è consapevole che ci sono ancora molte resistenze da vincere, ma non è disposto a far sconti a nessuno, né a rimanere a tutti i costi al Quirinale, in un secondo mandato che non ha fatto assolutamente nulla per avere. Servire la causa dell’Italia da riformare per il presidente è anche questo.