Il destino del governo Letta? Dipende da Letta stesso: sarà giudicato sui fatti. E non saranno delle elezioni amministrative a minarne il cammino. Ne è convinto Peppino Caldarola, da sempre attento osservatore delle dinamiche interne al centrosinistra. Con lui analizziamo l’esito dei ballottaggi di domenica e lunedì, da cui esce un centrosinistra vittorioso, con alcuni esponenti di rilievo che addirittura hanno sorriso a possibili fughe in avanti, leggasi elezioni anticipate. Partiamo proprio da qui.
Bersani, che non è proprio l’ultimo dei tesserati Pd, ha lasciato intendere che tornare al voto per il partito ora non sarebbe più una tragedia…
Nel Pd si sta vivendo una situazione buffa. L’interventismo di Bersani mi lascia molto perplesso perché dimostra che non si è capito un fatto: il governo Letta nasce per dare risposte ad una crisi economica micidiale, e sarà giudicato rigorosamente sui fatti. Più sarà in grado di risolvere problemi, più sarà forte e duraturo. Risultati come quelli delle ultime amministrative non hanno alcun riflesso reale sul suo governo, né positivo né negativo. Certo, il Pd esce rincuorato, alcuni leggono questo risultato come una benedizione del centrosinistra classico invece che dell’alleanza con il centrodestra, ma di fatto Letta se farà bene andrà avanti, altrimenti le elezioni l’anno prossimo diventeranno inevitabili.
Il premier si è affrettato a benedire il ballottaggio come un esito che rinforza il suo governo: perché?
In realtà, con questa affermazione Letta voleva esorcizzare quanti, come Repubblica o Il Fatto Quotidiano, sottolineavano la vittoria di candidati ostili al governo. Per il presidente del Consiglio, invece, il ballottaggio parla di un elettorato maturo e non traumatizzato, che ha appoggiato il centrosinistra a prescindere.
Lei crede che se si andasse al voto adesso la tenuta del Pd, a fronte di un tracollo di Pdl e 5 Stelle, potrebbe trasformarsi in una crescita di consensi?
Io eviterei di confondere il piano amministrativo con quello generale. Sicuramente la bolla di Grillo si è ridimensionata: questo è un fatto. Buona parte del suo elettorato sicuramente sperava in un impegno reale nella soluzione dei problemi del Paese. Per quanto riguarda il Pd, invece, tornerà a crescere se, e solo se, imparerà le due lezioni che sono arrivate da queste elezioni.
Quali?
In primo luogo, il popolo è decisamente più unito dei vertici del partito, che vivono di una perenne incomunicabilità che solo un vero congresso potrà risolvere. In secondo luogo, c’è un quadro intermedio del partito, fatto di sindaci e amministratori, che seppur molto differenti tra di loro, sanno ancora attirare molti consensi. La vera Torre di Babele è nei vertici: fissino al più presto la data del Congresso per tornare a riavvicinarsi alla base.
In tutto questo discorso c’è Renzi che scalpita…
Certo, anche se la richiesta del sindaco di Firenze di primarie apertissime è buffa: ha senso per la scelta del candidato premier, non per la segreteria. Ma ad ogni buon conto, il Pd non può e non deve chiudersi, e Renzi rappresenta il cavallo più in forma verso la corsa al vertice.
Renzi è un problema o una risorsa per il Pd?
Chi vive Renzi come un problema non ha capito nulla dei grandi cambiamenti recenti. E’ senz’altro una grande risorsa, la più grande novità politica degli ultimi anni: e questo glielo dice uno che non è renziano… Certo, la sua reale consistenza va ancora testata, ma il tempo darà una risposta anche a questo.
Anche Vendola ha esultato per il risultato dei ballottaggi: la coalizione si è spostata nuovamente a sinistra?
Non credo, perché in realtà, dopo aver marcato la sua differenza con il Pd in questi mesi, negli ultimi tempi Vendola ha fatto dichiarazioni di apertura nei confronti dello stesso Renzi. Questa apertura significa una sola cosa: anche Vendola ha capito che se il Pd una possibilità di vincere ce l’ha, questa è legata al sindaco di Firenze e, in qualche modo, sta abbandonando il suo gauchismo per una posizione meno intransigente. In breve: una posizione di vero realismo.
(Piergiorgio Greco)