C’è una merce che comincia pericolosamente a scarseggiare dalle parti di Palazzo Chigi: il tempo. Comincia ad aprirsi un pericoloso divario fra le enunciazioni sulla gravità della crisi, tanto sul versante politico, quanto su quello economico, e le risposte che il governo non riesce a dare, pur condividendo le analisi più impietose sui mali che soffre il sistema paese, ultime in ordine di tempo quelle della Cisl e della Confcommercio.
Hanno fatto impressione i fischi della platea della maggiore organizzazione del terziario al ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, che non ha potuto prendersi impegni neppure sul blocco dell’aumento dell’Iva. Il governo di Enrico Letta deve passare al più presto dalle parole ai fatti, prima che finisca la luna di miele con il paese. Le condizioni precarie in cui continuano a versare le casse pubbliche, però, rendono tutto difficile. Un aiuto decisivo può venire dall’Europa, ed è per questo che il premier sta preparando con la massima cura i prossimi appuntamenti, il vertice a quattro sul lavoro di venerdì a Roma ed il consiglio europeo di fine mese.
Solo con un allentamento del patto di stabilità l’Italia potrà spezzare quel circolo vizioso che oggi la imprigiona, quello in cui ogni aumento delle tasse (Iva, ad esempio) genera una ulteriore contrazione dei consumi. Ma imprimere una forte accelerazione in questa direzione non è affatto facile, quando si ha una maggioranza tanto ampia quanto cedevole, con un Brunetta che non perde occasione di ricordare che il governo deve sapere proporre vie d’uscita scomode e non solo solidarizzare con le vittime della crisi, senza agire.
Non meno forte è l’accelerazione che servirebbe sul terreno delle riforme costituzionali, che richiedono molto tempo, almeno un anno e mezzo, mentre di tempo l’Italia proprio non ne ha. Il ministro Quagliariello sembra esserne cosciente nel momento in cui dice che l’esecutivo non ha alcuna intenzione di dare l’impressione di voler cincischiare sulle riforme. Ecco perché dice che o l’accordo politico arriva nei prossimi quattro mesi, oppure il governo ne dovrà prendere atto. Poco importa se poi l’intero processo riformatore richiederà un tempo molto più lungo, cioè almeno 18 mesi. Eppure le distanze fra i partiti rimangono elevatissime, e non solamente in tema di nuova legge elettorale. Salvo che sul superamento del bicameralismo paritario, manca l’accordo anche sulla forma dello Stato (elezione diretta del capo dello Stato, oppure no), come anche sulla revisione del titolo V, sul federalismo e sul decentramento.
Per Letta tutte queste sono sfide titaniche, da affrontare per di più appoggiandosi su partiti in profonda crisi interna ed in profonda trasformazione. Persino il Pd, nettissimo vincitore di questa tornata di elezioni amministrative, è alla ricerca di una difficile quadratura del cerchio interna e appare diviso in una quantità di correnti persino superiore alla vecchia Democrazia cristiana. Ancora peggio sta il Pdl, dove si parla di rifondazione e di ritorno a Forza Italia, mentre si attende con ansia crescente la sentenza della Corte costituzionale sul legittimo impedimento invocato da Berlusconi nel processo Mediaset. Se ci fosse una nuova sconfitta giudiziaria, il nervosismo del centrodestra salirebbe alle stelle e la conseguenza sul governo sarebbe quella di aumentare la pressione per ottenere il sì a quei provvedimenti ritenuti manifesto per Berlusconi e soci, come la cancellazione definitiva dell’Imu. Dunque, un Berlusconi più intransigente ed esigente, che non potrebbe non impensierire Letta.
Economia e riforma istituzionale sono temi che si tengono e si intrecciano. Per ora il più sicuro alleato dell’esecutivo rimane il capo dello Stato, che continua a spiegare sul premier il suo ombrello protettivo. Non potrà però essere così all’infinito. Ora il primo segnale di inversione di tendenza potrebbe venire dal decreto sulle semplificazioni, che dovrebbe essere varato nel giro di qualche giorno. A Montecitorio c’è chi teme si tratti di una sorta di manovra mascherata, ma per Letta sarà il banco di prova di saper escogitare soluzioni innovative per far qualcosa in direzione di una ripresa che rimane ancora lontana. La stessa distanza, purtroppo, che c’era quando a Palazzo Chigi sedeva Mario Monti.