Sembrava un turno amministrativo senza particolari significati, quello che ci siamo appena lasciati alle spalle. Ma, se si scava bene, ha fatto intravedere molto più di quello che ci si aspettava. Ha raccontato di un centrosinistra scollato verticalmente, dove una base silenziosa e compatta si fa beffe di un vertice litigioso. E ha fatto emergere con il massimo vigore tutta la liquidità di un centrodestra ancora, e chissà per quanto, silviocentrico: senza una prospettiva destinata a durare nel tempo, tutto legato alle sorti del suo mentore. Per capire che aria tira tra i recenti sconfitti, abbiamo conversato con Pietrangelo Buttafuoco, uno che di destra e dintorni se ne intende, partendo dal tracollo più vistoso: quello di Alemanno a Roma.



Buttafuoco, cosa è successo nella capitale?

C’è un aspetto curioso nella vittoria di Marino: è stata salutata da molti come la liberazione dell’Urbe dal nazifascismo. In realtà, Alemanno è stato il sindaco più antifascista della capitale, oltre che il massimo esponente di una destra di parvenu, totalmente incapace di affrontare la realtà. Alemanno è la rappresentazione plastica del fatto che è sparito un mondo: la destra italiana non è più in grado di rispondere all’esigenza di darsi e dare una classe dirigente. Mancano del tutto persone capaci di fare vera politica. Un sindaco dovrebbe stare quanto più lontano dai giornali e dalle tv, e invece sempre più spesso sembra di essere a Non è la Rai: la massima gloria è un’apparizione di cinque minuti. Quest’ansia di apparire non ha fatto bene a lui, e non fa bene in genere ad una classe dirigente.



Forse chi vuole apparire ha altre mire?

Senz’altro. In Italia c’è una destra che non sa impegnarsi in un progetto comune, in un ideale tipico della destra, preferendo le ambizioni personali.

È forse uno dei limiti del berlusconismo?

La pochezza della destra è, di fatto, la pochezza del centrodestra. Vede, Berlusconi è quello che ha più pelo sullo stomaco: ancora più di Andreotti è capace di fiutare in anticipo le tendenze, gli avvenimenti, le prospettive. Non è un caso se oggi, prima di altri, ha capito molto bene una cosa.

Dica.

Tutto sommato è contento per come è andata a Roma, e in Italia in generale: la sconfitta del centrodestra è tutto ossigeno per il governo Letta, su cui Berlusconi sta puntando più di ogni altro. Ma il berlusconismo per come lo si è inteso a lungo, sta volgendo al termine: l’ex premier è invecchiato, molti influenti sono andati via. Quando Silvio non ci sarà più, tutto crollerà.



Perché?

Proprio per la ragione che dicevo prima: il centrodestra italiano non ha mai investito davvero su una classe politica strutturata e autorevole. E questa è una colpa soprattutto della destra, nei cui ideali invece c’è la struttura, l’ordine e l’autorevolezza.

 

A chi fa comodo questa situazione?

Di fatto, Berlusconi se vuole stabilità deve continuare a puntare su Letta, e non può andare a nuove elezioni adesso. Non ci sarebbe partita tra un anziano e uno, anzi due giovanotti come Renzi e Letta. Del resto, gli italiani storicamente quando le cose vanno male scelgono la sinistra. Come diceva il grande Totò: quasi quasi mi butto a sinistra. Fino a quando ci sarà Berlusconi, amministrerà il centrodestra come una macchina tutta sua…

 

E dopo?

Coloro che sopravviveranno se la giocheranno tra di loro, come sta accadendo nel campo avversario: due giovani democristiani come Letta e Renzi si stanno giocando la leadership. E si ritornerà nell’eterna Italia del nulla…

 

La destra scomparirà?

La destra italiana è il frutto di un equivoco enorme: non è la destra della nazione, di un ideale, di una prospettiva. Quando vinse la prima volta, Alemanno fu festeggiato con il Carmen Saeculare di Orazio: oggi chi lo ricorda più? La destra è l’anima sociale del partito socialista. Lì è nata, lì ritornerà. Le racconto un aneddoto. Quando Rino Formica, per il Psi, andò a chiedere al potente Araldo Di Crollalanza di far convergere i voti del Movimento Sociale sul candidato socialista, l’esponente missino gli rispose: non vi faccio un favore, ma eseguo l’ultimo ordine di Benito Mussolini.

 

(Piergiorgio Greco)