La Corte d’Appello che ha condannato Berlusconi nell’ambito del processo Mediaset a 4 anni di reclusione (ma 3 sono coperti da indulto, e per un anno si può contare sulla sospensiva della condizionale) e a 5 di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale, stabilì anche che non vi fu alcun legittimo impedimento a partecipare all’udienza del 1° marzo 2010. Il Consiglio dei ministri presieduto dall’allora presidente del Consiglio Berlusconi era stato fissato in seguito alla pubblicazione del calendario del processo. Ieri, invece, la Corte costituzionale ha respinto il conflitto di attribuzione tra poteri sollevato da Palazzo Chigi nei confronti del tribunale. Il ricorso contro la decisione della Corte d’Appello, quindi, era infondato. Abbiamo chiesto a Stelio Mangiameli, professore di Diritto costituzionale nell’Università di Teramo, quali sono le implicazioni del pronunciamento della Consulta.



Cosa ha stabilito la Corte?

La Consulta, in sostanza, ha stabilito che è mancata l’improcrastinabilità della riunione del Consiglio dei ministri. In altri termini, l’appiglio tecnico individuato consiste nella considerazione in base alla quale è il premier a fissare, di volta in volta il Cdm. Se, tuttavia, il premier è l’imputato, e se ogni volta che deve presentarsi alle udienze fissa il Cdm, o c’è un motivo che giustifica la calendarizzazione o è un modo per costruire ostacoli all’agire dei giudici. E Berlusconi, secondo la Consulta, non avrebbe motivato adeguatamente la necessarietà del suo impegno.



Se il presidente del Consiglio non dispone della discrezionalità assoluta nell’indire i Cdm quando gli pare e piace, e in base, magari, a ragioni squisitamente politiche, il potere esecutivo conserva inalterata la propria natura?

Siamo di fronte ad un rapporto tra poteri che dovrebbe essere ispirato al principio di collaborazione. E’ vero che il premier deve disporre dei più ampi margini di discrezionalità politica. Tuttavia, non deve esercitarla in maniera che ostacoli l’esercizio delle funzioni dell’altro potere, la magistratura.

Dal punto di vista tecnico quindi ha agito legittimamente?



Direi di sì. Detto questo, se vogliamo entrare in considerazioni di natura politica, mi limito ad osservare che è indubbio che Berlusconi sia l’uomo più processato degli ultimi 20 anni. Va riconosciuto che un trattamento del genere non è mai stato riservato, in Italia, a nessun altro capitano d’industria; a meno che non si voglia assumere che Mediaset e la Fininvest siano il comitato d’affari più loschi di questo mondo.

 

Se la sentenza fosse stata favorevole a Berlusconi, cosa sarebbe cambiato?

Se il conflitto fosse stato dichiarato fondato, la stessa Consulta avrebbe invalidato gli effetti delle sentenze di primo e secondo grado.

 

Ora, invece, cosa succede?

La Cassazione potrebbe confermare la condanna in Appello, senza giustificare la pena accessoria dell’interdizione. In caso di conferma piena, invece, Berlusconi decadrebbe ipso facto dalla posizione di senatore e non potrebbe più ricoprire pubblici uffici. Ciò non significa che non potrebbe ricoprire un ruolo politico nel Paese, continuando a parlare in pubblico, o condizionando la vita delle forze politiche. Anche per questo, non farà cadere il governo. I gesti eccessivi gli nuocerebbero. La sua partita si sta giocando su due fronti: vuole continuare a intestarsi il merito della sopravvivenza dell’esecutivo, e presentarsi come una vittima della magistratura. 

 

(Paolo Nessi)