C’erano almeno tre opzioni sul tavolo dei giudici della Consulta, ma i 15 componenti della Corte costituzionale hanno scelto la più sfavorevole per il Cavaliere. Nemmeno il contentino di dire che il legittimo impedimento c’era, ma che l’udienza interessata era stata del tutto ininfluente sull’esito del processo. No, porta in faccia di brutto a Berlusconi, e tensione alle stelle.



Raccontano, quelli che erano a Palazzo Grazioli al momento della sentenza, che Berlusconi in fondo se l’aspettasse, ma che dopo la notizia si sia chiuso nel suo ufficio, ordinando che nessuna telefonata gli fosse passata. Ha incontrato prima il suo collegio difensivo, poi la delegazione pidiellina al governo, venuta a portargli la propria solidarietà. 



La rabbia c’è, ma viene tenuta a freno. Ai falchi del partito è stato imposto di volare bassi, persino a quel Gasparri che aveva ipotizzato dimissioni di massa dei parlamentari nel caso in cui scattasse per il leader del centrodestra l’interdizione dai pubblici uffici. Quell’eventualità non è per l’oggi, perché quantomeno bisogna attendere la discussione del processo Mediaset/Diritti Tv davanti alla Cassazione, quindi inutile alimentare un clima di tensione. E anche la discussione sull’ineleggibilità di Berlusconi, incardinata per il 9 luglio alla giunta per le elezioni del Senato, fa meno paura, dopo le prese di posizioni venute da casa democratica. 



L’aver formalmente ribadito la propria lealtà al governo Letta pochi minuti dopo il verdetto della Corte costituzionale non deve però trarre in inganno, né può far dormire sonni tranquilli al presidente del Consiglio. Sono due i piani che si intersecano, con effetti difficilmente prevedibili.

Di sicuro Berlusconi esce dalla vicenda Consulta ancor più convinto che ci sia un complotto dei giudici nei suoi confronti. Non solo il Cavaliere ha avuto la conferma della politicizzazione – a suo dire – della Corte costituzionale (suo storico cavallo di battaglia), ma  nella decisione vede un precedente gravissimo, in base al quale qualsiasi pubblico ministero può trascinare un presidente del Consiglio in tribunale nel giorno di un Consiglio dei ministri, senza che questi possa opporre resistenza. 

Di questo aspetto Berlusconi vorrebbe discutere a breve con il presidente Napolitano, dal quale vorrebbe più solidarietà e più copertura. E pare che tra il Quirinale e Palazzo Grazioli la diplomazia di Gianni Letta sia già al lavoro per favorire un incontro in tempi e modi digeribili per entrambe le parti. Del resto la sentenza dalle parti del colle più alto della politica romana è stata accolta con un misto di contenuta soddisfazione e di prudenza sulle conseguenze future. 

Il problema, per Napolitano, è che quando Berlusconi salirà al Quirinale non si limiterà a parlare della Consulta, ma parlerà anche dei tanti procedimenti giudiziari che stanno arrivando a sentenza (quella di primo grado sul caso Ruby il 24 giugno e la Cassazione sul lodo Mondadori a partire dal 27).

Ma accanto all’aspetto strettamente giudiziario c’è anche quello più squisitamente politico. Ai ministri Berlusconi ha dato la consegna di incalzare il governo e di far chiaramente capire a Enrico Letta che la sua pazienza ha un limite. E allora servono misure forti in campo economico, una terapia d’urto che prevede non si arretri di un millimetro sulla richiesta di abolire l’Imu sulla prima casa ed evitare l’aumento dell’Iva. Dei semplici rinvii proprio non bastano. E le giustificazioni dei vari Saccomanni e Zanonato sui soldi che non si trovano proprio non bastano. 

La consegna ai ministri e ai gruppi parlamentari è quella di marcare sempre di più la propria presenza nella maggioranza con provvedimenti riconoscibili. Se così non fosse la provocazione fatta invitando l’esecutivo a sforare il patto di stabilità europeo è destinata a non rimanere un fatto isolato, ma potrebbe diventare solamente il primo episodio di uno stillicidio di attacchi al governo perché faccia di più in direzione delle proposte Pdl. Uno stillicidio di pungoli e di punture di spillo che potrebbe rendere sempre più difficile la vita allo strano governo guidato da Enrico Letta.