L’ampia intervista di Gianroberto Casaleggio uscita ieri sul supplemento domenicale (La Lettura) del Corriere della Sera, “La democrazia va rifondata” costituisce indubbiamente una rarità. Casaleggio, la vera mente che tiene le fila del Movimento 5 Stelle, di cui Beppe Grillo è l’unico volto veramente “noto”, è, infatti, restio ad apparizioni pubbliche o ad interviste. Le poche sono state rilasciate, finora, a giornali esteri, tra cui il Guardian. Il personaggio rimane oscuro, enigmatico, avvolto in un’area di riservatezza e di sacralità che contrastano, vivamente, con il messaggio del M5S: quello di un’assoluta trasparenza favorita e resa possibile dalla Rete. 



In realtà il mix tra enigma e trasparenza è il cuore del nuovo movimento, il suo punto critico. L’ondata del M5S è stata paragonata al Movimento dell’Uomo Qualunque sorto, nel dopoguerra, ad opera di Guglielmo Giannini. Le analogie, però, non danno ragione di un fenomeno nuovo che appartiene pienamente al nostro tempo. Il Movimento 5 Stelle è l’ultimo epigono del ’68, la sua metamorfosi positivista, post-marxista. Esso segna quell’attualità di Comte, dopo Marx, che caratterizza l’era della globalizzazione post-’89. Il sogno di Francis Fukuyama, consegnato ne La fine della Storia e l’ultimo uomo si restringe, dopo l’11 settembre 2001, al perimetro occidentale teorizzato da Samuel Huntington nel suo Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale.



Scomparse le ideologie il “libero” Occidente può trovare la sua unità nella rivoluzione telematica, nel progetto “Gaia” che, come annuncia Casaleggio in un video del 2009, dovrà partorire un nuovo ordine mondiale. Il sogno americano del presidente Bush trova, nel nostro, un alfiere sui generis. Al pari di Auguste Comte, il padre del positivismo dell’800, anch’egli vagheggia un’unione planetaria all’insegna della scienza, in questo caso dell’elettronica e delle infinite possibilità offerte dal Web. L’idea è quella di una democrazia diretta che, in tempi rapidi,  mandi in soffitta la democrazia rappresentativa e i media tradizionali, televisione in primis. Quest’idea ha dimostrato la sua forza, in Italia, nelle ultime elezioni politiche le quali, di fronte al collasso e al vuoto dei partiti della seconda Repubblica, hanno premiato il Movimento 5 Stelle con un successo senza precedenti. In realtà non è stato il programma del M5S ad essere persuasivo quanto la sua critica ad un sistema bipolare che ha ridotto i partiti e la democrazia rappresentativa a puri simulacri, espressioni di una “casta” distante in modo abissale dalla realtà popolare. 



A questo vuoto, ideale e politico, si è aggiunta la grave crisi economica che ha funzionato da detonatore, da miccia accesa sotto il Palazzo. I 5 Stelle, forti della loro novità, hanno dato fuoco a  questa miccia, una forza d’urto che ha obbligato i vecchi poteri ad allearsi, a chiudere, per un attimo, il contenzioso di una lotta senza fine. 

Se questo è il loro merito il limite sta, invece, in una proposta velleitaria, ambigua e pericolosa, che l’intervista a Casaleggio documenta con chiarezza. L’idea “sessantottina” di una democrazia diretta ha già fatto ampiamente naufragio nelle interminabili discussioni assembleari del movimentismo anni 70. L’infinita discussione che caratterizza i grillini è una pagina già vista. La democrazia “liberale” non nasce da Rousseau, sul quale Jacob Talmon ha scritto un libro insuperato: Le origini della democrazia totalitaria (Il Mulino), ma da Locke. Non è una democrazia diretta; è una democrazia rappresentativa in cui i rappresentanti vengono votati e delegati dal popolo ad esercitare, in loro nome, il potere sovrano per il bene comune. I deputati e i senatori non hanno autonomia assoluta rispetto al loro mandato. Lo esercitano, però, nel quadro di un’appartenenza politica in cui i partiti dovrebbero essere gli interpreti della volontà popolare. 

Per Casaleggio, al contrario, è la Rete il Soggetto. La Rete “pensa”, sceglie, elegge, revoca. L’obiezione che per legiferare o approvare le leggi occorra una competenza specifica non è ritenuta dirimente. Al pari della cuoca di Lenin, che poteva governare gli Stati, i grillini, supportati dalla Rete, si sono autoinvestiti di un sapere superiore, salvo poi scontrarsi con i limiti evidenti della propria inesperienza. L’utopia, tuttavia, non demorde. Non conta l’esperienza politica, i partiti come scuola di formazione, ecc. Casaleggio vuole una riforma del sistema che rappresenti una vera “rivoluzione”, vuole il controllo integrale sulla politica. 

«Un progetto politico di Rete deve avere un respiro più ampio che non la sola soluzione dei problemi contingenti, vanno ripensate le istituzioni e la società nel medio termine. Tutto cambierà. Il cittadino deve diventare istituzione. Le regole del gioco stanno cambiando». Ciò che Casaleggio propone qui è una integrale politicizzazione dell’esistente, l’esito di un totalitarismo mediatico per il quale «il vecchio concetto di privacy non è più realistico».  Tutto deve passare attraverso il filtro e il controllo della Rete, il Soggetto “democratico” per eccellenza. «Il parlamentare o il presidente del Consiglio è un dipendente dei cittadini, non può sottrarsi al loro controllo. In caso contrario non si può parlare di democrazia diretta». 

Qui, com’è evidente, siamo dalle parti di Robespierre e di Saint-Just. Il filone giacobino, del post-’68 pensiero mai spentosi, si rinnova passando per la tecnocrazia. Colpisce che  Casaleggio critichi la “neo-dittatura orwelliana”, l’uso manipolatorio dei media attuato dai Paesi dittatoriali o semi-dittatoriali (Cina, Russia), fino ad ipotizzare una terza guerra mondiale tra essi e l’Occidente. 

Colpisce perché alle visioni apocalittiche dell’ideologo, amante dei libri di fantascienza, sfugge che proprio attraverso la Rete, il Web, i Paesi “democratici”, al pari di quelli non-democratici, come dimostrano le rivelazioni recenti negli Usa, controllano gli ignari cittadini. Di fronte a questa potenza di controllo l’idea roussoiana del M5S di controllare, attraverso un personaggio enigmatico e un comico-politico, il potere in Italia appare quanto meno risibile. 

A meno che questa idea non sia, a sua volta, al servizio di un più ampio progetto di potere, quello di “Gaia”, di un “nuovo ordine mondiale” il cui fulcro e cervello avrà il suo centro non certo nel nostro Paese.