Il Pdl ha depositato in commissione Affari Costituzionali al Senato un emendamento al ddl di iniziativa governativa che istituisce il Comitato per le riforme e che approderà all’esame di Palazzo Madama lunedì 8 luglio. L’emendamento propone che anche il Titolo quarto della Costituzione, quello sulla disciplina costituzionale della magistratura, rientri tra le materie del Comitato. Apriti cielo! Appena la cosa si è saputa, il Partito democratico, o almeno Danilo Leva, presidente del Forum giustizia del partito e Alfredo D’Attorre, responsabile riforme politiche istituzionali, hanno parlato di “strappo inaccettabile”. Sostengono in sostanza i due esponenti del Pd che “il ddl costituzionale proposto dal governo traccia un percorso già definito e condiviso che riguarda materie come la forma di governo, il bicameralismo, nonché coerenti progetti di legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali. Per il Partito democratico la riforma della giustizia non è un tabù, ma non si può prescindere da quelle che sono le garanzie di indipendenza della magistratura sancite dalla Carta costituzionale. Con una polemica nota, i due esponenti del Pd aggiungono che “la giustizia non può essere il terreno su cui scaricare vicende estranee agli obiettivi di riforma e ammodernamento dell’assetto istituzionale”.



In sostanza, fanno capire gli esponenti del Pd, si cerca una sorta di rivincita dopo la sentenza sul “caso Ruby” e la sentenza del tribunale di Milano.

La senatrice del Pdl, Maria Elisabetta Casellati, risponde con pazienza e con fermezza a questa presa di posizione del Pd, non nascondendo che vi nota una certa pretestuosità. «Si tratta solo di un raccordo tecnico. Come si fa a discutere e a pensare riforme del primo, secondo, terzo Titolo e non al quarto? Se si riforma il Parlamento, il governo, come non si può discutere anche del Titolo quarto che riguarda la magistratura? Forse si sono dimenticati che il presidente della Repubblica è anche presidente del Consiglio superiore della Magistratura? Si sono dimenticati che un terzo del Csm è eletto dal Parlamento? Insomma tutte le volte che si tocca il capitolo della giustizia e della magistratura, scatta un pre-giudizio, per cui non se ne deve proprio parlare».



Vi accusano di avare fatto una specie di blitz inserendo questo emendamento.

Ma di quale blitz parlano? La sentenza sul “caso Ruby” è arrivata lunedì scorso. E allora basta guardare i verbali della commissione Affari costituzionali del Senato per sapere che si è parlato molto prima di tutto questo. La sentenza sul “caso Ruby” non c’entra nulla con la richiesta di una riforma istituzionale che riguarda i primi quattro titoli. Compreso inevitabilmente il quarto. E non è possibile farne a meno. Se si decidesse ad esempio di scegliere una riforma che va verso un sistema presidenziale, si dovrà pure discutere su chi sarà il futuro presidente del Csm. Che problema esiste?

 

Cerchi di spiegarlo lei senatrice.

Io credo che ormai, oltre al pre-giudizio che scatta ogni volta che si incrocia la strada di una riforma della giustizia, si vive quasi come in un ossessione, perché qualsiasi volta si mette mano a un problema della giustizia si pensa alla posizione di Silvio Berlusconi, ai suoi processi. Francamente non se ne può più di questa ossessione. Ripeto che si può guardare gli atti della Commissione. Gli emendamenti sono stati consegnati quando non c’era alcuna sentenza relativa a Berlusconi.

 

(Gianluigi Da Rold)