A nessuno passerebbe per la testa di definire Enrico Letta di sinistra. Eppure, prima di diventare presidente del Consiglio, era il vicesegretario del Pd. Che è pur sempre l’erede della tradizione comunista italiana. Se escludiamo Sel, che del Pd è considerato prevalentemente una costola, e tutti quei gruppuscoli e movimenti che in Parlamento non ci sono più da anni, vien da chiedersi che fine abbia fatto la sinistra italiana. Secondo l’ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti, è semplicemente evaporata. Così come, del resto, quella europea.
Esiste ancora la sinistra?
Direi di no. Non basta autonominarsi di sinistra per esserlo. Non basta disporre di forme organizzate attraverso il voto per poter esistere.
Cosa occorre, quindi?
L’esistenza politica è espressa dalla capacità di esercitare un’influenza autonoma sulle scelte di governo. In Italia, come in tutta Europa, la sinistra non ha più l’organizzazione materiale e culturale e il consenso per poterlo fare. Il che, ci pone di fronte ad un paradosso evidente.
Quale?
Viviamo nella crisi sociale più grave conosciuta in tutto il secondo dopoguerra, il tasso di disoccupazione ha raggiunto un livello che un maestro della sinistra italiana come Riccardo Lombardi definitiva incompatibile con la democrazia (affermava che sopra il 10% non siamo più in democrazia, e chiunque ha in mente la Costituzione sa che è così), mentre l’ampiezza delle diseguaglianze non è mai stata così clamorosa. Il capitalismo finanziario, in sostanza, sta producendo una costituzione materiale, antitetica a quella repubblicana, che mette in discussione la democrazia stessa, al punto da poter parlare della rivincita delle élites e della costruzione di un’Europa oligarchica e tecnocratica. Ebbene, tutto ciò sembrerebbe deporre a favore dell’esistenza di una sinistra alternativa, e concorrere a determinarne la forza. Ma, evidentemente, non è così. Il paradosso è contraddistinto da una seconda contraddizione.
Ci spieghi.
La sinistra è intrappolata nella costruzione di un recinto politico-istituzionale che, quando la vede al governo, la rende irriconoscibile da qualsiasi altra politica. D’altro canto, la troika europea fa sì che i governi non siano altro che l’emanazione di quella forma di governo neoliberista che, per usare una formula di Walter Benjamin, assume il capitalismo come religione; si produce, cioè, una determinazione culturale secondo cui tutto quello che viene fatto dai governi rappresenta l’unica alternativa percorribile.
La sinistra di governo, in sostanza, è destinata all’irrilevanza.
Pensi, semplicemente, al governo socialista in Grecia, messo fuori gioco da un intervento esterno. O alla Francia, dove i socialisti francesi hanno vinto a mani basse ma, dopo un anno, alle elezioni parziali, hanno subito un crollo, a fronte del successo del Front National di Marine Le Pen.
Come si è arrivati a tutto ciò?
Il fenomeno, ovviamente, non è nato ieri. Negli anni 80, dopo il grande ciclo di ascesa del conflitto sociale del ’68, c’è stata la vittoria delle destre, con Reagan e la Thatcher anzitutto, e la conseguente rivincita sociale contro i lavoratori e le classi operaie. Nel primo ciclo, sono state le classi subalterne ad agire il conflitto contro le classi proprietarie, dagli anni ’80 in poi accade il contrario. Un processo che ha spezzato la schiena alle sinistra. La dinamica si è acutizzata con la mancata risposta all’89, con l’incomprensione del movimento alter-mondista, e con la mancata risposta alla crisi del 2008. Da tutto ciò, la sinistra ne è risultata smembrata, priva di identità propria, ridotta esclusivamente al concetto di governabilità.
Al di fuori dei partiti, nei sindacati per esempio, esiste ancora?
Anche il sindacato è in crisi profonda. Che cosa misura il suo potere di influenza se non l’occupazione e i salari? Ebbene, in Italia nel 1965 avevamo gli stipendi più alti d’Europa, oggi i più bassi; la disoccupazione giovanile, invece, è arriva al 40%, quella generale al 12%. Ecco, questo è il sindacato.
Dove esiste, allora, la sinistra?
Ci sono una cultura diffusa e un sentire di sinistra nel popolo, se per sinistra intendiamo la propensione all’eguaglianza, la critica all’autoritarismo, la vocazione alla democrazia partecipata. Si ottiene un grande successo, per esempio, quando si raccolgono firme per l’acqua come bene pubblico, quando si insorge contro un’opera insensata come la Tav, o quando la Fiom si batte contro un modello di impresa autoritario come quello di Marchionne; questa presenza, tuttavia, è solamente la precondizione necessaria e non sufficiente dell’esistenza della sinistra.
Queste tendenze riguardano anche la destra?
La destra si polarizza su due fronti: quello che conta, che realizza il Fiscal compact, impone le politiche economiche a tutti i governi europei, ed è capace di costruire un pensiero unico. Questa destra è la guida di una rivoluzione passiva, ove la politica si vaporizza nel governo e nelle istituzioni, e ne alimenta una seconda, che è la destra populista. Una destra inquietante, che, in assenza della sinistra, può diventare, secondo forme anche pericolose, base di raccolta nell’avversione alle politiche tecnocratiche. Va riconosciuto al Movimento 5 Stelle la capacità di aver intercettato queste pulsioni, rispondendo alla crisi di rappresentatività della democrazia, della sinistra e delle istituzioni. Si è trattato di una risposta discutibile quanto si vuole ma efficace.
Non crede l’M5S in parte alimenti tale crisi?
No. La crisi delle istituzioni e della democrazia ha radici più profonde. Da quanti anni, ormai, abbiamo un distacco delle popolazioni dal quadro istituzionale?
Una situazione ben diversa dalla tanto vituperata prima Repubblica.
Dal mio punto di vista, non ha nulla di vituperabile. La prima Repubblica è stata il territorio della forza e del primato della politica, a partire dalla Costituzione repubblicana. Non è un caso che, oggi, le Costituzioni antifasciste siano tutte sotto il tiro della politica prevalente. Vale la pena ricordare che in Italia, in particolare, si esercitò un’importante contesa tra democristiani, comunisti e socialisti, fondata sull’esercizio esplicito del conflitto di classe, il cui carattere di lotta e impegno è stato sottolineato dai costituzionalisti come fattore dinamico e positivo nel realizzare il compito della Repubblica sancito all’Articolo 3 («È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»). Quella stagione, pur segnata da elementi drammatici, è stata grande sotto il profilo politico, tanto è vero che, specie nella sua fase matura (anni 60-70), realizzò lo Stato sociale e la conquista dei diritti dei lavoratori. Questo ciclo, come già detto, è stato sconfitto.
Alla luce delle sentenze di condanna di Berlusconi, non pensa che si sta per chiudere un altro ciclo?
Va premesso che a livello europeo si sta andando verso l’assestamento definitivo di quella grande controriforma iniziata negli anni 80 che, con la crisi, ha avuto un’accelerazione violenta. Tutte le riforme di cui si parla, infatti, vanno nella direzione dell’accentuazione della governabilità. Le classi dirigenti, infischiandosene del fatto che la gente non va a votare, stanno costruendo un sistema di governo impermeabile al conflitto e alla partecipazione. Il perno della costruzione politica è l’edificazione di un sistema oligarchico. In Italia si è generata una sottospecie patologica del processo che ho descritto, sintetizzabile nel conflitto tra berlusconiani e antiberlusconiani che ha segnato, assieme al sistema maggioritario, l’orribile seconda Repubblica. Le sentenze sono interne a questa vicenda. Uno dei poteri è stato ucciso (il Parlamento è pura cassa di risonanza del governo); il governo è svettato al ruolo di sovrano indiscutibile; e nella forma patologica italiana di una lunga presenza nell’esecutivo di Berlusconi, si è innescato un conflitto con la magistratura. Per quanto importante, tuttavia, tale sottospecie, è irrilevante rispetto al conflitto tra le Costituzioni antifasciste e quelle materiali che si sta delineando a livello europeo.
(Paolo Nessi)