Sussidiarietà, federalismo, decentramento, autonomia: tutte parole che fino a poco tempo fa facevano parte integrante del linguaggio corrente di politici, amministratori e cattedratici e che oggi sembrano desuete, perché archiviate a beneficio di altre come spread, esodati, derivati, ecc.

Eppure in questo contesto che si evolve così velocemente un folto stuolo di neoparlamentari ha ritenuto opportuno presentare all’Assemblea Regionale Siciliana un disegno di legge volto ad attuare anche in Sicilia il 4° comma dell’articolo 118 della Costituzione, proprio quello sulla sussidiarietà. La Sicilia dovrebbe aggiungersi cosi alla Toscana, all’Emilia Romagna, all’Umbria, al Molise, alla Campania e alla Calabria, che hanno già legiferato in tal senso.



E ciò che colpisce subito è la provenienza dei firmatari. Se si eccettuano i grillini, sono appartenenti a tutti i gruppi parlamentari presenti a sala d’Ercole, sia di maggioranza che di opposizione. Ancora una volta la sussidiarietà dimostra la sua capacità di unire, piuttosto che di dividere.

Ma questa iniziativa non nasce nel vuoto. A ben guardare la sussidiarietà può definirsi in Sicilia una esperienza attuata e condivisa. La XIV e la XV legislatura, proprio agli inizi degli anni duemila, furono contraddistinte da un fiorire di leggi volte ad applicare tale principio in svariati ambiti dell’amministrazione regionale. Basti ricordare la legge sulla famiglia, quella sul buono scuola o le norme sul buono sociosanitario.



Una strada che pareva interrotta viene ora ripresa, si spera con maggiore vigore, anche perché le vicende economiche con cui deve confrontarsi anche il bilancio regionale spingono oltre che verso i necessari tagli alla spesa, anche verso la sua razionalizzazione. E questo disegno di legge, a detta dei proponenti, indica la direzione verso cui guardare, piuttosto che proporre soluzioni tanto facili quanto effimere.

Viene però una domanda: ma con tanti problemi che affliggono la Sicilia, come si fa a dedicare tempo e energie alla sussidiarietà?

E sono proprio i sottoscrittori a controbattere spiegando che, proprio la delicatezza della situazione che viviamo, a loro modo di vedere, dimostra la necessità di non farsi schiacciare dalle esigenze, pur giuste, di dare risposte alle emergenze. “Questa legge – dicono – non intende creare posti di lavoro, cosa di cui abbiamo tanto bisogno, ma porre le condizioni perché questi possano nascere da una spinta dal basso e con la prospettiva che siano duraturi. Altrimenti torniamo alla Regione che crea precariato e finta occupazione. La Regione deve garantire condizioni e strumenti validi per tutti e verificare la bontà dei risultati conseguiti e accertati”.



Il disegno di legge individua bene il terreno entro cui muoversi. Le norme previste hanno infatti lo scopo “di favorire le creazione di nuovi servizi per i cittadini o il miglioramento di quelli esistenti, il superamento delle diseguaglianze economico-sociali e la promozione della cittadinanza attiva umanitaria, intesa come effettiva partecipazione dei cittadini alle comunità di appartenenza”.

Il testo, pur nella sua genericità, specifica quale deve essere il compito e la responsabilità della Regione: favorire le iniziative dei privati con azioni positive consistenti non solo nella collaborazione tra pubblico e privato, ma anche nell’attribuzione di risorse finanziarie nei limiti previsti dal bilancio regionale.

Vediamo, allora, quali sono le attività previste. L’art. 4 dice: “Sono considerate attività d’interesse generale, quelle inerenti ai servizi sociali pubblici, ai servizi culturali, ai servizi per la tutela e la valorizzazione del lavoro fisico ed intellettuale, allo sviluppo dell’iniziativa economica-privata alla persona, che siano di utilità alla generalità dei cittadini e alle categorie svantaggiate”.

La domanda più ricorrente fatta ai deputati che hanno promosso l’iniziativa riguarda i finanziamenti previsti. Ma tutti hanno tenuto a sottolineare che non si vogliono ripercorrere sentieri vecchi, per intenderci quelli dei finanziamenti a pioggia.

All’unisono hanno ripetuto che la futura legge deve saper sostenere e non sostituirsi, verificare i risultati e non giudicare i comportamenti, aiutare lo sviluppo delle reti esistenti e non inventare altri enti ed associazioni, che non hanno obiettivi come quello di auto sostenersi in vita e di garantire occupazione precaria agli amici degli amici.

La fiducia sul buon esito della proposta dovrebbe basarsi su due presupposti, I firmatari sono oltre il 30% dei deputati dell’Assemblea Regionale; quindi, è legittimo ritenere che già un significativo numero di interessati sosterrà con convinzione il cammino della legge. E poi c’è un dato recente appena pubblicato da un report dell’Ars. La pur breve attività di questo Parlamento, meno di un anno di vita, ha visto il conseguimento di un record: tutte e 17 le leggi approvate hanno concluso il loro iter parlamentare entro un mese dalla data dell’avvio della discussione nelle commissioni di merito.

Come dicevamo all’inizio tante cose son cambiate in un decennio. Questo testo se scritto prima avrebbe riconosciuto più merito all’unica benzina che può far muovere la macchina della sussidiarietà: l’associazionismo, la libera aggregazione tra i cittadini, la voglia che tanti siciliani ancora hanno di mettersi insieme per venir incontro innanzitutto ai propri bisogni, aiutando anche e in modo significativo pure lo Stato.

Nel testo le associazioni sono definite “soggetti interessati alla sussidiarietà”. Forse si poteva scrivere di più e meglio. 

Vi è in Sicilia una popolo silenzioso e discreto di persone, volontari e non, che quotidianamente applica una sussidiarietà, spesso tradita nel passaggio dalle parole ai fatti, rendendo servizi insostituibili in tanti campi, non solo in quello socio-assitenziale. Sono coloro che insieme agli utenti pagano per i tagli operati agli enti locali e che ciò non ostante continuano “a tenere aperta bottega”, certo più per amore al prossimo che allo Stato, ma comunque rendendo un servizio ad entrambi.  E’ il loro contributo alla crisi, un contributo che oltre ad essere di speranza è fatto anche di riduzione di salario e talvolta anche di perdita di posti di lavoro.

Questa futura legge dovrà non solo garantire trasparenza e efficacia a tutti i processi, ma valorizzare e promuovere quanto di meglio c’è e può nascere anche grazie ad essa.

Tutto l’associazionismo siciliano è pronto a raccogliere questa sfida. Alla politica e all’amministrazione il compito di reggere il confronto.