Non è ancora una situazione consolidata quella italiana. Non solo per il perdurare della crisi economica e finanziaria, ma anche perché si nota un’agitazione politica che spesso sembra in contrasto con la necessaria stabilità del governo e con i passi cadenzati, nel giro di 18 mesi, del governo e dell’asse politico che si è costituito tra il Quirinale, Giorgio Napolitano, e Palazzo Chigi, Enrico Letta.



In questo momento il governo, prima con il vicepresidente Angelino Alfano, poi con lo stesso Enrico Letta, ha gettato un carta importante sul tavolo, una vera “sassata in piccionaia”, che sta scuotendo il vecchio e ingiallito Palazzo della politica, che appunto si è messo in mobilitazione. La carta giocata è quella di una riforma reale dell’assetto istituzionale italiano, con l’introduzione del semi-presindenzialismo alla francese, con la fine del bicameralismo e l’introduzione del federalismo. Sarebbe il passaggio reale dalla seconda repubblica, probabilmente mai nata ed erede spuria della prima repubblica, a una vera terza repubblica.



Ma è evidente che con questa mossa, con questo progetto di riforma, si è messo in moto un processo di revisione istituzionale che porta al nodo cruciale, centrale, della questione italiana, la sua crisi di sistema, la sua permanente instabilità, la sua farraginosità. E in questo confronto saltano fuori i soliti noti che difendono a spada tratta la “più bella Costituzione del mondo” e che si oppongono a un simile progetto di riforma.

Piero Ostellino, ex direttore del Corriere della Sera, grande editorialista del giornale di via Solferino è da tempo pessimista sul futuro dell’Italia, ma sul semipresidenzialismo alla francese è d’accordo e crede che possa funzionare.
 Questo tipo di sistema in Francia funziona e credo che possa essere una soluzione anche in Italia. Ma non sarà una partita semplice, difficile al momento pensare come sia possibile realizzarlo, anche perché la cultura dominante nel paese è refrattaria a questo tipo di riforme.



C’è una difesa di questo assetto istituzionale e della nostra Costituzione, che non tiene conto dei momenti storici differenti. La Costituzione fu un nobile e grande compromesso nell’immediato dopoguerra, adesso sembra piuttosto attempata, per usare un eufemismo.

Altro che eufemismo. La nostra carta costituzionale la definirei “premoderna”. Questa Costituzione viene difesa per alcuni interessi. Ci sono i tutori come Zagrebelsky, come Rodotà. Ma credo che corrisponda al bloco catto-comunista che si è insediato da tempo nel Paese.

Dal Governo sono arrivate immagini forti, come quella di non vedere mai più una elezione del Presidente della Repubblica come l’ultima, che ha poi riportato alla necessaria riconferma di Napolitano. Ma subito c’è stata agitazione nel Partito democratico e Rosy Bindi ha quasi ammonito Letta di occuparsi di problemi economici e non di riforme istituzionali.
Non darei tanta importanza alle parole di Rosy Bindi, ma comunque è chiaro che questa riforma mette in moto una serie di reazioni.

Si parla di una certa agitazione, interpretata in modo antigovernativo, del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, l’uomo nuovo del Pd.
Quelle mi sembrano solo chiacchiere.

Poi ci sono le risposte molto dure e negative contro il semi-presidenzialismo di Beppe Grillo e le contorsioni all’interno del Movimento 5 Stelle. In sostanza, c’è chi vede la possibilità di una possibile saldatura tra una parte del movimento “grillino” e alcuni settori della sinistra, parte del Pd, Sel. Che ne pensa?
È proprio questo il blocco culturale che può emergere in una situazione come questa. Perché questo è il blocco culturale dominante nel Paese. È il vecchio catto-comunismo con tutto quello che ha prodotto.

È sempre pessimista sulla situazione italiana?
Per ricreare un Paese credibile e funzionante occorrerà un processo lunghissimo. Non si può essere ottimisti in questo momento con tutto quello che si vede e si sente.

(Gianluigi Da Rold)