Con tutte le sentenze che gli pendono sul capo, la crisi, la recessione, la disoccupazione e via dicendo, non ha niente di meglio a cui pensare? Evidentemente no. Il presidenzialismo (che poi si declinerebbe concretamente in una sorta di semipresidenzialismo alla francese) è diventato il principale pallino di Berlusconi. «La priorità», il «perno» attorno al quale costruire le altre riforma. Abbiamo chiesto ad Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, quante chances ci sono che una riforma del genere vada in porto e quali sono i reali interessi di Berlusconi.
Berlusconi crede realmente nel semipresidenzialismo?
A dire il vero, si tratta, da sempre, di una bandiera del centrodestra. Berlusconi più volte si è lamentato del fatto che pur vincendo le elezioni non ha mai contato nulla perché il sistema istituzionale vigente lo obbligava a rendere conto a troppi soggetti. Ha sempre pensato, quindi, che una semplificazione attorno ad un potere esecutivo più forte potesse essere utile per il sistema politico.
Lui ne avrebbe dei vantaggi?
Una riforma della Costituzione così radicale lo renderebbe tra i protagonisti di un’operazione storica. I leader di quel Parlamento che dovesse vararla sarebbero ricordati come nuovi Padri costituenti. E’ indubbio che a fine carriera cerchi la gloria e la riabilitazione internazionale. Inoltre, può aver considerato che, con l’elezione diretta del capo dello Stato, il centrodestra ne risulterebbe favorito, dato che gli viene piuttosto facile presentarsi con un solo uomo che lo rappresenti, mentre la sinistra ha molte più difficoltà.
Berlusconi pensa che sarà lui il candidato del centrodestra alla presidenza della Repubblica?
Probabilmente, ne è convinto. Dubito tuttavia che sarebbe il favorito. E’ usurato da vent’anni in cui ha perso irrimediabilmente parte del suo consenso. Mentre gli italiani più volte gli hanno accordato la fiducia per il governo, non penso che lo vedrebbero bene al vertice delle istituzioni. In ogni caso, posto che il semipresidenzialismo venga introdotto, stiamo parlando di elezioni che non si terranno prima del 2015. Per una riforma di questo tipo ci vogliono almeno due anni. Il che dovrebbe spingere i partiti ad agire. Si tratta, infatti, dalla classica condizione in cui si opera sotto il velo dell’ignoranza. Senza sapere, cioè, a chi potrebbe convenire la legge che si intende approvare.
Un processo del genere potrebbe tutelarlo da eventuali condanne?
Non penso. Se la sentenza sul processo Mediaset diventerà definitiva, non c’è escamotage che può rimuovere l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Può aspettarsi, al limite, che il suo ritorno a pieno titolo nella cabina di regia della Repubblica spinga il capo dello Stato o la Corte costituzionale (che il 19 giugno deciderà se aveva diritto o meno al legittimo impedimento negatogli dalla Corte d’appello nell’ambito del processo Mediaset) ad esternare in suo favore. Se possiamo immaginare, tuttavia, che questi soggetti tengano conto del clima generale, la Cassazione non può fare altro che giudicare in base alle carte.
Buona parte del Pd non vede male il semipresidenzialismo. Pur di fare un dispetto a Berlusconi potrebbe affossare un eventuale disegno di legge?
Può essere. La loro paura è di essere ricordati come coloro che portarono Berlusconi al Quirinale.
Berlusconi potrebbe legare il semipresidenzialismo alla tenuta del governo?
No. Nessuno, con questa legge elettorale, vuole tornare a votare. Sarebbe inutile e rischioso. Tanto più Berlusconi che, in questa fase, sta facendo di necessità virtù, intestandosi il merito di aver promosso l’esistenza delle larghe intese (a differenza del Pd che non perde occasione per sottolineare come le sta subendo). Non solo: più Berlusconi parla di semipresidenzialismo, più allunga la vita dell’esecutivo.
Cosa intende?
Il semipresidenzialismo è un processo estremamente lungo. Solamente per varare la commissione parlamentare che dovrà giudicare i testi si dovrà fare un legge costituzionale che non potrà essere approvata prima di ottobre. Chi propone una riforma così radicale e complessa presuppone che il governo duri.
Perché, allora, Napolitano si è sentito in dovere di smentire «il ridicolo falso di un termine posto dal Presidente della Repubblica alla durata dell’attuale governo»?
Perché si tratta di un’accusa gravissima: se si sospettasse che il capo dello Stato può decidere la durata del governo, sarebbe messa in discussione la natura parlamentare della Repubblica.
(Paolo Nessi)