Nell’entourage di Silvio Berlusconi c’è chi ha rivisto materializzarsi lo spettro delle toghe rosse. Nessuno toglie l’idea ai vertici del PDL che ci sia una regia precisa a cavallo fra giustizia e politica dietro l’uno-due che ha fissato per il 30 luglio la discussione della sentenza sul processo relativo ai diritti Mediaset. Colpo uno: i conteggi sulle prescrizioni pubblicati di primo mattino in apertura del “Corriere della Sera” con l’allarme sulla possibilità che l’interdizione dai pubblici uffici possa slittare. Colpo due: la fulminea messa a ruolo del ricorso della difesa del Cavaliere nel giorno stesso in cui è stato depositato.
Lo stato maggiore PDL è stato preso in contropiede, non c’erano state avvisaglie e le contromisure non sono pronte, anche perché non sono affatto facili da trovare. Tornato a Roma dopo una decina di giorni d’assenza, Berlusconi ha riunito i consiglio di guerra a Palazzo Grazioli. Nessun commento ufficiale, anche su pressante consiglio dei suoi legali, ma ai suoi è apparso davvero furibondo, perché sente che la morsa si stringe intorno a lui, e della pacificazione sperata in clima di governo di larghe intese non c’è nemmeno l’ombra. Se avesse potuto parlare, contro i giudici e la stampa avrebbe usato parole di fuoco per denunciare quello che ritiene un complotto ai suoi danni, giunto allo scontro finale.
Il partito è in subbuglio, le differenze fra falchi e colombe si sono azzerate di botto. Invocano una reazione forte tanto Santanchè, quanto Bondi. Parlano di fretta sospetta sia Lupi che Gelmini. E Brunetta dice chiaro chiaro che il problema è politico. Il governo è incolpevole, ma è inimmaginabile – a suo dire – che il leader di uno dei due partiti di maggioranza sia spazzato via e che questo rimanga senza conseguenze.
All’improvviso questo scenario, di un Berlusconi cancellato dalla scena politica, si è fatto straordinariamente concreto. La nuova linea difensiva, affidata a una vecchia volpe come Franco Coppi, puntava proprio sulla prescrizione per ottenere una revisione, almeno parziale della pesante sentenza d’appello, quattro anni di reclusione (tre condonati) e a cinque di interdizione dai pubblici uffici, pena accessoria che lo estrometterebbe dal Senato. La speranza era che i reati sino al 2002 si prescrivessero intorno alla metà di settembre, e che la Suprema Corte rimandasse il processo in Corte d’Appello per il ricalcolo della pena, guadagnando almeno un anno.
Niente di tutto questo, e niente giudici amici al Palazzaccio, perché la discussione del terzo grado di giudizio sarà affidato alla cosiddetta sezione feriale, quella che rimane attiva durante le vacanze estive, e che non è organicamente strutturata. Il quadro è tanto fosco che in pochissimi sperano – realisticamente – in un verdetto favorevole.
Reagire, allora diventa un imperativo categorico. Ma il problema è il come. La tentazione del “muoia Sansone con tutti i filistei” è forte, e l’ipotesi di un precipitoso ritorno alle urne è tornata prepotentemente d’attualità. Il problema è che questo non cambierebbe la situazione di un Berlusconi probabilmente fuori gioco. Potrebbe però essere questa una mossa suicida, perché nessuno riesce a valutarne la validità. E il partito potrebbe uscire cancellato dal confronto elettorale.
Una strategia ancora non c’è. A Palazzo Grazioli si sono prese in considerazione tante ipotesi, dall’Aventino soft a quello hard, cioè alle dimissioni in massa dei parlamentari azzurri. Nulla è deciso, tutte le ipotesi rimangono in campo. Quel che è certo è che a Palazzo Chigi in queste ore la preoccupazione è salita alle stelle e ci si prepara al peggio, anche se la linea ufficiale su cui insiste Enrico Letta in ogni intervento pubblico è quella di mantenere il piano del governo distinto e distante dalle vicende giudiziarie di Berlusconi.
Ma il Cavaliere non può restare fermo, e forse ha anche cercato di farlo presente al premier, attraverso Alfano o lo zio Gianni. Non può permettersi di finire accerchiato. Non può rimanere inerte a guardare. Qualcosa va fatto prima che sia troppo tardi, prima che la tenaglia della giustizia si stringa intorno a lui. Il problema, in queste ore, è cosa sia possibile ancora fare.