“In Parlamento si lavorerà cinque giorni su sette. Chiederemo sacrifici anche ai dipendenti, perché qui ci sono stipendi molto alti, faremo tutto con la collaborazione dei sindacati”. Era il 19 marzo 2013, quando, in collegamento con Ballarò, i neo presidenti delle Camere, Laura Boldrini e Pietro Grasso, annunciavano una riduzione del 30% al proprio stipendio e una pianificazione di tagli ai costi del Palazzo. Un percorso iniziato ufficialmente ieri, con l’incontro fra i sindacati del personale e Marina Sereni, la vicepresidente Pd di Montecitorio che ha in delega il dossier sulla riduzione dei costi. Il testo presentato dalla Sereni, di cui oggi parla L’Espresso che ne è entrato in possesso, appare molto lontano da eventuali concreti interventi. Infatti, nonostante venga evidenziata la assoluta necessità “di riformare secondo principi di maggior rigore finanziario un sistema retributivo che appare, nei difficili tempi che stiamo vivendo, ormai non più integralmente difendibile”, si legge che “è opinione del Comitato che non si possa vivere di solo rigore e di soli tagli”. In Parlamento, infatti, “da troppo tempo ormai si deve convivere con un contesto di continua emergenza che non consente di svolgere serenamente il proprio lavoro”. Parlando poi delle indennità, sia di quelle “di funzione” fino a quelle “contrattuali”, viene spiegato che così come sono “potranno essere mantenute solo a fronte di specifiche ragioni funzionali”, senza però ipotizzare una effettiva eliminazione. Scrive quindi l’Espresso che, visto che le indennità costano circa 15 milioni di euro, anche se dovessero essere ridotte della metà come promette Sereni, porterebbero i costi dovuti alle retribuzioni del personale della Camera da 238 a 231 milioni di euro, cioè appena il 3 per cento in meno.