Il primo a rendersi conto della delicatezza del momento è stato Giorgio Napolitano. Il suo tentativo di derubricare a critiche costruttive l’inatteso attacco di Mario Monti al successore evidenzia che la tensione intorno al governo è salita improvvisamente oltre il livello di guardia.
L’ultimatum del professore, arrivato via facebook, è parso un colpo baso al presidente del Consiglio, che pensava di aver messo a segno negli ultimi giorni tre punti a proprio favore. Sul piano interno il rinvio dell’aumento dell’Iva e il pacchetto lavoro sono – con gli occhi dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi – il massimo che si possa fare sulla base dei rigidi vincoli di bilancio. Sul piano europeo poi, all’indomani della chiusura della procedura d’infrazione per deficit eccessivo, il vertice di fine giugno ha dato risultati oltre le attese italiane, almeno per quanto riguarda il capitolo occupazione.
Enrico Letta però non ha avuto nemmeno 24 ore per godersi i primi frutti della sua politica dei piccoli passi che è stato attaccato da tutte le parti. L’affondo di Monti è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, un vaso già riempito dalle sparate di Matteo Renzi, dalle contorsioni del Pdl intorno ai guai giudiziari di Berlusconi, con i suoi falchi e le sue colombe, e persino dalle improvvide interviste del presidente del Senato, Piero Grasso, che ci ha messo del suo, prefigurando maggioranze diverse, nel caso della caduta del governo in carica.
Quella di Grasso è un’uscita talmente fuori dalle righe da provocare non solo l’irata reazione del suo predecessore Renato Schifani, ma anche l’ironica uscita del capo dello Stato che ha detto che “forse” neppure lui condivide quelle che sono state liquidate come opinioni strettamente personali del presidente del Senato.
Ce n’è abbastanza perché sulla plancia di comando di Palazzo Chigi si accenda la spia dell’allarme rosso. Da Gerusalemme Letta è corso ai ripari, convocando per giovedì la “cabina di regia della maggioranza”, che tradotto nel politichese della prima repubblica significa un bel vertice fra i capigruppo per far sfogare un po’ di malumori e richiamare tutta a un maggiore senso di responsabilità.
Il presidente del Consiglio è convinto che i fatti parlino per lui, che le prime misure del governo e l’esito del consiglio europeo siano successi che presto saranno riconosciuti da tutti. È pure convinto del fatto che non esista alternativa al metodo dei piccoli passi, con buona pace del sindaco di Firenze che ha usato questa espressione in termini spregiativi.
Letta è perfettamente conscio, infatti, che solo con una paziente costruzione del consenso le decisioni del governo potranno trovare un adeguato consenso. In caso contrario, in caso di accelerazioni improvvise, il rischio è quello di trovarsi scoperti, esposti al fuoco incrociato delle polemiche. Esemplare in questo le fantasiose coperture trovate per il rinvio dell’aumento dell’Iva. Colpa della fretta, ma quell’aumento degli acconti Irpef e Ires è stato un brutto scivolone. Un filo di delusione dalle parti di Palazzo Chigi ha cominciato ad avvolgere il lavoro del ministro dell’Economia, Saccomanni, da cui ci si aspettava qualcosa di più in termini di soluzioni praticabili per racimolare le risorse necessarie a sostenere i provvedimenti economici appena approvati, vitali per l’esistenza stessa del governo, come il Pdl ha ripetuto per settimane.
Sulla politica dei piccoli passi Enrico Letta è fermamente determinato ad andare avanti. Certo, le insidie che lo attendono sono tante. Quella che comincia a temere ogni giorno di più viene però dal suo partito, ed è dovuta agli scossoni che Matteo Renzi sta imprimendo alla corsa verso il congresso e la segreteria del Pd. Il sindaco di Firenze è stato nei fatti molto minaccioso nei confronti del governo, e una sua vittoria lo minerebbe dalle fondamenta. L’intero stato maggiore del Pd ne è cosciente, e probabilmente per questo l’isolamento del primo cittadino toscano sembra aumentare, ultimo in ordine di tempo a richiamarlo Massimo D’Alema.
Sul governo rimane comunque ben spiegato l’ombrello protettivo del Quirinale. A differenza di quanto sostenuto da Grasso, Napolitano sembra convinto che a questo governo non vi siano alternative credibili e realistiche. E lo stesso dimostrano di pensare gran parte degli attori dell’economia, sindacati e imprenditori. L’imperativo categorico è far ripartire il paese. E il generale estate dovrebbe scoraggiare ogni ipotesi di crisi di ferragosto. Certo, da settembre in avanti tutto sarà diverso. Ma nel frattempo Letta spera che i primi provvedimenti abbiamo smosso qualcosa e che, nel frattempo, anche il treno delle riforme costituzionali abbia finalmente intrapreso il suo viaggio. Se ciò avvenisse, per il suo esecutivo sarebbe tutto più facile.