Dopo la prova di forza sul caso kazako, da cui tutti i contendenti sono usciti indeboliti, è in corso un generale riposizionamento per meglio prepararsi al prossimo scontro. Il Quirinale, per salvare Letta, è stato costretto ad una sovraesposizione che lo ha messo nel mirino di polemiche politico-mediatiche, il governo Pd-Pdl infatti ha dimostrato di non essere capace di reggersi da solo, le opposizioni (interne ed esterne alla maggioranza) hanno prospettato alternative che si sono rivelate non percorribili. Matteo Renzi rimane comunque in posizione migliore.
Costretto alla ritirata ha alzato però “la posta”: più che anti-Letta, soprattutto anti-Napolitano. L’annuncio del “silenzio stampa” in polemica con il Colle sembra indicare il tentativo di incardinare la sorte dell’inquilino del Quirinale a quella dell’inquilino di Palazzo Chigi: visto che Letta è stato imposto da Napolitano, quando cade il capo del governo cade anche il Capo dello Stato. La “mission” del Sindaco di Firenze appare così quella di portare Prodi al Quirinale. Giulio Sapelli, su queste colonne, ha ben evidenziato la sostanza dello scontro – che coinvolge i principali soggetti imprenditoriali e finanziari italiani – tra integrazione sulla scia della Germania (uno schieramento annovera da De Benedetti a Prodi e Renzi) e ricontrattazione con l’Unione Europea (a cui invece punta Napolitano spingendo in tale direzione il governo Pd-Pdl di Letta).
Il “rottamatore” è stato sconfitto quando il Quirinale ha dimostrato l’impraticabilità sia delle elezioni anticipate sia di una maggioranza alternativa. Gli anti-Letta erano infatti inchiodati su due vicoli ciechi: l’impossibilità di sciogliere le Camere con una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale e l’inconsistenza di una maggioranza con Beppe Grillo (o una ipotetica dissidenza grillina non quantificabile).
Renzi è in “silenzio stampa” dopo che per due mesi ha attaccato Bersani perché non si decideva a fare l’alleanza con il Pdl e da più di due mesi attaccava Letta perché è alleato con il Pdl. Da destra di Bersani a sinistra di Letta. Una capriola che poteva essere causa di logoramento, ma che invece ha dimostrato la debolezza del vertice anti-Renzi. Se durante le primarie si ghettizzava il sindaco di Firenze come “quinta colonna” berlusconiana, ora si reagisce con grande affanno. La dirigenza del Pd non è assolutamente in grado di reggere un assalto da sinistra stando nelle “larghe intese”. Questo è il vero rischio di Letta. Se non ci fosse stata una diretta discesa in campo di Giorgio Napolitano i “ragazzi di Berlinguer” avrebbero portato il Paese ad una crisi al buio.
Riuscirà Letta a riprendere il controllo della situazione? Molto dipende anche da Berlusconi. Il leader di Pdl-Forza Italia si muove in modo accorto e ha recuperato posizioni istituzionali ed elettorali. Ma ha due “talloni di Achille”. Il primo è quello di non riuscire a dar vita ad un’alleanza strategica per una tutela “nazionale” in Europa nel senso, appunto, auspicato da Napolitano. Se Berlusconi continua a guidare i suoi parlamentari come una scolaresca che sta in maggioranza con gestacci e pernacchie verso il partito di Letta è evidente che il governo non ha un futuro. In secondo luogo deve spostare Alfano. E’ stato comprensibile difenderlo di fronte ad un attacco strumentale in una vicenda che coinvolgeva anche Esteri e Giustizia. Ma il Pdl ha assoluta necessità di “usare” il ministero degli Interni nel momento in cui l’attacco principale a Berlusconi e al suo partito è sul piano della legalità.
Dopo che al Viminale un’operazione antiterrorismo (in cui stando alla versione ufficiale avrebbe potuto esserci una sparatoria con vittime) è stata diretta da un capo di gabinetto e da un ambasciatore straniero all’insaputa del governo, il rischio è che con il “siciliano” Alfano all’Interno inizi una campagna mediatica sulla cessazione di lotta alla mafia. E’ quindi interesse del centro-destra avere una personalità di spicco – ma non il segretario-vicepresidente che deve quotidianamente affiancare il premier nella conduzione politico-programmatica – che evidenzi come anche Berlusconi sia impegnato con successo nella lotta alla criminalità organizzata senza apparire in discontinuità con i predecessori della “prima” e “seconda” Repubblica: da Scotti a Maroni. E Napolitano.