Ancora una volta, tutti contro Renzi. L’unica indicazione emersa dalla Direzione del Pd di ieri, sulla quale si voterà la prossima settimana, è la distinzione tra la premiership e la leadership. Chi diventerà il futuro segretario, non sarà più automaticamente il candidato premier del Pd. Peppino Caldarola, giornalista a scrittore, ci svela le tattiche anti-Renzi del partito.
E’ corretto interpretare tutto il dibattito sulle regole come il tentativo di far fuori il sindaco di Firenze?
Direi di sì. E la situazione ha degli aspetti paradossali. Il fatto che gran parte del gruppo dirigente voglia fermare Renzi attraverso le regole e non la dialettica politica riflette come il sindaco di Firenze sia realmente temuto. O, viceversa, quanto i suoi oppositori temano di aver perso consenso. Una rivelazione di debolezza sconcertante.
Cosa ne pensa, di per sé, della distinzione tra premiership e leadership?
E’ piuttosto bizzarra. Che il segretario del partito sia il candidato premier è la cosa più naturale. A meno che non si immagini che il candidato premier sia il frutto di una trattativa di coalizione per cui, come accadde con Prodi, i segretari indicarono un nome terzo. Tuttavia, in un sistema bipolare, una pratica di questo tipo rappresenta una cessione di autorità della forza principale che decide di considerasi figlia di un dio minore. Non dimentichiamo, inoltre, che nei Paesi in cui la sinistra va al governo con un proprio candidato, il segretario che resta a gestire il partito è, di fatto, un semplice organizzatore che non fa ombra al premier ma, anzi, ne è il principale collaboratore. Se, invece, si crea per definizione un dualismo, difficilmente potrà emergere un governo pienamente sostenuto dal proprio partito.
Cosa voterà, alla fine, il Pd?
Dipende da quanto resteranno unite le forze che vogliono fermare Renzi. Paradossalmente, gli stanno dando il vantaggio della popolarità che nasce dal vittimismo. Per questo, ieri, ha preferito tacere. I suoi oppositori, tentando di fermarlo con piccoli artifizi normativi, diminuiscono la propria immagine politica. Sembrano, in sostanza, i Sette Nani: operosissimi, zelanti, indubbiamente. Ma, alla fine, il principe e Biancaneve sono altri. Questo meccanismo, oltretutto, nasconde un’altra insidia.
Quale?
Se Renzi viene battuto da un artifizio normativo, il rischio di una frattura tra il mondo e il Pd è molto alto.
Una scissione?
Più che altro, il Pd si trasformerebbe in una sorta di sigla di partiti di natura personale: quello di Renzi, quello di Civati, quello di Cuperlo e D’Alema, quello di Epifani, quello di Franceschini, e quello di Letta. Si trasformerebbe in una convivenza tra partner che si detestano.
Il Pd si sta dando la zappa sui piedi?
Questa infinita discussione sulle regole sta penalizzando l’intero partito. Come dimostrano i sondaggi, se qualche settimana fa era sulla cresta dell’onda, ora è in discesa.
Cosa farà Letta? Non crede che il dibattito sulle regole possa nuocere anche a lui?
E’ un leader giovane, ma in questo momento è il premier di un governo di coalizione con il centrodestra. Renzi, invece, incarna la prospettiva successiva. Per questo, la candidatura di Letta è attualmente improponibile. Non di certo per le sue indubbie capacità. Ma perché non si può immaginare che possa spingere l’elettorato di centrosinistra a combattere contro il centrodestra dopo averci coabitato e, oltretutto, fino al punto di difendere la reputazione di Alfano, uno dei suoi principali esponenti. Non gli resta, evidentemente, che pazientare. A meno che in pochi mesi non porti a casa risultati tali che nessuno gli potrà contestare la leadership.
Quanto accadrà all’interno della prossima direzione potrebbe minare la stabilità del governo?
I litigi interni alla direzione, per il governo sono rischiosi. Tuttavia, da questo rischio, può nascere il rafforzamento di Letta, che ha di fronte a sé il centrodestra nel panico totale nell’aspettativa di un’eventuale sentenza negativa, e il Pd diviso dalla lotta per la leadership. Ebbene, può dichiarare forfait perché i suoi partner sono deboli e rissosi, o rendersi autonomo da loro e guidare un processo politico, fissando un’agenda che costringa le forze politiche nella direzione che lui indicherà.
(Paolo Nessi)