Beppe Grillo, ieri, ha detto (di nuovo) che il governo ha esautorato il Parlamento. Ma questa non è una notizia. Che Repubblica, invece, da alcuni giorni, abbia lanciato una campagna per denunciare il limbo democratico in cui ci hanno sprofondato le larghe intese, o che Bertinotti abbia scritto al capo dello Stato accusandolo di aver azzerato la dialettica parlamentare, ecco, questi sono fenomeni che vale la pena interpretare. Lo abbiamo fatto con il direttore di Italia Oggi e di Milano e Finanza.



Le larghe intese e Napolitano hanno deposto le Camere?

Non direi. Il Parlamento potrebbe non accettare questo stato di cose. Ne ha tutti gli strumenti, e nessuno lo ha privato della possibilità di togliere la fiducia al governo. Se non lo fa, è perché le forze politiche riconoscono che questi equilibri, per quanto precari, siano meglio dell’assenza di equilibri.



Tali equilibri, secondo molti, sarebbero stati congelati da Napolitano.

Al limite, possiamo dire che il presidente delle Repubblica abbia forzato lo spirito e la lettera della Costituzione. Ma questo è sotto gli occhi di tutti. D’altra parte, si può scandalizzare solo chi si ostina a considerarla al pari dei Dieci Comandamenti e a ritenerla immodificabile. Nonostante sia stata scritta più di 60 anni fa, in una situazione di emergenza, quando il Paese era appena uscito da una guerra. Allora, si decise di ingessare il governo, indebolendolo, per evitare ricadute nella dittatura.

Rischi di questo genere, oggi, non dovrebbero più essercene.



Esatto. Invece, restiamo l’unico, tra i Paesi civili e democratici, in cui il presidente del Consiglio non ha facoltà di mandare a casa un ministro con il quale non è in sintonia. Un sindaco può disfarsi quando gli pare e piace di un assessore, ma il premier no. Siamo, del resto, l’unico Paese con una simile classe politica indecisionista, partiti privi di leadership e un ordinamento generale che impedisce ai governi di agire (qualunque provvedimento, ormai, viene facilmente annullato dalla Corte costituzionale o dal Tar).

Nel frattempo Repubblica, buona parte del Pd e parte del Pdl spingono per le elezioni anticipate.

Sono tristi strategie di politica-politicante giocate sull’instabilità: quella derivante dalla Costituzione, e quella prodotta da quegli stessi ceti politici che pensano che la situazione possa evolvere garantendo loro vantaggi nel breve termine.

Meglio, quindi, tenersi comunque il governo?

Abbiamo un Pd che appena si muove si spacca in due, una destra che, senza, Berlusconi, è inesistente, i grillini che mirano allo sfascio, e un 30% di astensionismo. Chi ha un minimo di senso di responsabilità dovrebbe aggrapparsi disperatamente al governo Letta. Sperando che agisca. Siccome è stato varato per affrontare una serie di nodi urgenti e fondamentali, la cosa più intelligente e onesta sarebbe metterlo alla prova. Se non ci riesce un esecutivo che dispone, sulla carta, di una simile maggioranza politica (nonostante, dal punto di vista quantitativo, è in minoranza a causa delle opposizioni interne ai due principali partiti), mi chiedo chi altri potrebbe trascinarci fuori dall’impasse. Considerando, oltretutto, che in vent’anni non ci è riuscito nessuno.

 

Non c’è il rischio che le pressioni per le elezioni anticipate facciano montare nell’opinione pubblica l’idea che, tutto sommato, sarebbero l’alternativa migliore?

Ma no, l’opinione pubblica vuole semplicemente che questo governo dia dei segnali importanti. In tal senso, un primo passo c’è stato con la sostituzione dei vertici della Ragioneria generale dello Stato, massima espressione delle caste burocratiche, nonché l’organismo che, sin qui, ha messo i bastoni tra le ruote a miriadi di provvedimenti licenziati dal governo e dal Parlamento, specie sul finire dell’ultima legislatura. Insomma, è stato inaugurato uno stile diverso. Peccato che si è trattato di un segnale valido per gli addetti ai lavori, troppo tecnico, impossibile da percepire per la stragrande maggioranza della gente.

 

(Paolo Nessi)