È vero che abbiamo il dovere di risolvere il problema segnalato a suo tempo dalla Corte Costituzionale, ma dobbiamo farlo senza allontanarci da quelle che sono le esigenze di una democrazia governante. E non c’è un solo modo di sciogliere il nodo sollevato dalla Corte: ce ne sono diversi che vanno in direzioni opposte o comunque contraddittorie. Per esempio, se ci limitassimo esclusivamente a eliminare il premio di maggioranza avremmo fatto la scelta di allontanarci dalla democrazia governante e con tutte le probabilità entreremmo in un sistema di larghe alleanze permanenti. Cosa che, di per sé, non è auspicabile. Lo stesso varrebbe se decidessimo di mettere una soglia alta per assegnare il premio di maggioranza in un turno unico, per esempio al 40% come prevede una delle ipotesi allo studio. Anche in questo caso avremmo probabilmente larghe intese obbligate subito oppure dopo poco tempo: la soglia di quel tipo o è irraggiungibile o, al limite, lo sarebbe forse solo da alleanze eterogenee, analogamente a quanto accadeva col turno unico, che verrebbero meno dopo poco.



Sono ipotesi che ci farebbero uscire dall’incostituzionalità, ma ci farebbero  precipitare  in altri gravissimi problemi. Quindi non sarebbero soluzioni sensate. Un’altra soluzione, che produrrebbe gli stessi effetti, è il ripristino della legge Mattarella. Perché anche quella legge, con la frammentazione di partenza in molti poli come quella che abbiamo oggi in Italia, imporrebbe l’obbligo di grandi coalizioni permanenti o alleanze eterogenee che crollerebbero dopo poco.



A mio modo di vedere c’è un solo sistema che consente di rispondere ai problemi sollevati dalla Corte restando in una democrazia governante, ed è quello di prevedere un doppio turno sul modello dell’elezione dei sindaci. In pratica, se al primo turno nessuna coalizione arriva alla soglia del 50% dei voti si fa uno spareggio tra le prime due coalizioni e i rispettivi candidati premier. Chi vince lo spareggio si prende il premio di maggioranza e va al 55% dei seggi a livello nazionale, sia alla Camera che al Senato.

Questo sistema, secondo me, consente di rispondere alle esigenze della Corte Costituzionale perché al secondo turno chi supera il 50% dei voti avrebbe comunque il premio di maggioranza con un minimo di distorsione, rimanendo dentro i valori di una democrazia governante senza eccessive forzature. Ovviamente per rendere il sistema più razionale occorre poi modificare coerentemente la Costituzione perché, a norme costituzionali invariate, c’è il problema di un doppio ballottaggio distinto Camera e Senato, che comunque darebbe con tutta probabilità due risultati identici. Si tratta quindi di una soluzione ragionevole come legge ponte, ancor più sensata a regime, dove andrebbe però coordinata con altre modifiche, comprese quelle relative al potere di scioglimento che dovrebbe ruotare più sul Primo Ministro e meno sul Capo dello Stato, analogamente alle altre democrazie parlamentari.



Tornando alla questione della legge ponte, l’unica cosa che ha detto sin qui la Corte Costituzionale è che il sistema rischiava di essere dis-rappresentativo, e questa obiettivamente e gerarchicamente è l’emergenza più grave. Io pertanto partirei da qui. Se poi vogliamo cogliere l’occasione per risolvere anche un altro paio di cose, che andrebbero comunque risolte a regime, come introdurre una soglia di sbarramento al 4-5% o moltiplicare le circoscrizioni rendendole più piccole, va benissimo. Però dobbiamo stare attenti che le cose più importante non sono queste: la cosa più importante non è quanto si sbarra e come si eleggono i singoli parlamentari, ma come i cittadini determinano una scelta di governo, diritto che non può essere più negato a livello nazionale, quando è ormai ben radicato per comuni e regioni.

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