All’interno nel Pd, la sospensione delle ostilità tra Renzi e il resto del mondo è cessata. L’avvicinamento tra il sindaco di Firenze e D’Alema, posto che ci sia mai stato, è storia vecchia. «Renzi ha sempre detto che vuole essere il leader del centrosinistra. Aspetti dunque le primarie per eleggere il candidato del centrosinistra e ci consenta di eleggere il segretario del Pd. Altrimenti rischiamo di eleggere un cattivo segretario», ha, infatti, dichiarato l’ex presidente del Consiglio. Che, pur di impedire l’ascesa di chi lo ha voluto fuori dal Parlamento (sull’onda del montare dello spirito della rottamazione D’Alema ritenne opportuno non ricandidarsi) si è alleato con Bersani e Franceschini, con i quali i rapporti, specie negli ultimi tempi, erano andati in frantumi. Abbiamo chiesto ad Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, cosa ne pensa di tutta la vicenda.



Lei come spiega questi spostamenti tattici?

Lo scontro, a dire il vero, denota due interessi politici divergenti e inconciliabili. L’ipotesi di un Renzi che diventa segretario grazie alle alleanze con i capi del partito è sempre stata irrealistica. Lui stesso Renzi l’ha sempre rifuggita, pensando che essere risucchiato della dinamiche interne al Pd gli avrebbe sottratto metà dell’appeal elettorale. D’altro canto, gli stessi capi del Pd sarebbero condannati da un salto generazionale del genere. Il passaggio dai sessantenni ai trentenni non sarebbe indolore. I numeri uno non sarebbero collocati in posti di secondo piano ma, semplicemente, sparirebbero.



Perché D’Alema, fino a poco tempo fa, sembrava intenzionato ad accordarsi con Renzi?

Personalmente non ho mai creduto all’esistenza di un alleanza di questo tipo. E’ invece vero che tutti, compreso D’Alema, consapevoli della forza mediatica e del consenso del sindaco di Firenze, hanno tentato di avvicinarlo con accordi e compromessi. Ma l’incoerenza della leadership del Pd, costante solamente nel perseguire i propri interessi personali, connota anche Renzi.

Cosa intende?

Ha iniziato a presentarsi come sindaco, come un “uomo del fare”, con un rapporto diretto con l’elettorato e con delle idee per l’Italia. Da questa posizione ha lasciato intendere che sarebbe stato disposto a governare l’Italia. Ora, invece, sembra ambire ad una carica politica in seno al partito. Va detto, inoltre, che D’Alema ha ragione quando obietta che Renzi non può pretendere le deroghe allo Statuto (il segretario del Pd è automaticamente candidato premier; senza deroga, non avrebbero potuto gareggiare contro Bersani) e, al contempo, di essere necessariamente lui il candidato a Palazzo Chigi se dovesse essere eletto segretario.

Tutto ciò che ripercussioni potrebbe avere sul governo? 

Nel momento in cui Renzi fosse eletto segretario del partito, il governo Letta sarebbe di fatto giunto al termine. Cos’altro potrebbe fare, infatti, un segretario del genere se non prepararsi alle elezioni, accelerandole? E’ per questo che in molti preferirebbero indire il congresso l’anno prossimo. O, al contrario, immediatamente, ma con la distinzione tra leadership e premiership. In entrambi i casi, si allungherebbe il brodo. Insomma, quello a cui l’alleanza anti-Renzi punta è di allontanare il momento in cui il rottamatore venga eletto leader, per allontanare così lo spettro delle elezioni.

 

Non pensa che rappresenti l’ennesimo atto autolesionista del Pd? Renzi è pur sempre considerato l’unico uomo del Pd in grado di vincere le elezioni.

Di sicuro, tattiche e litigi di questo genere danneggiano l’immagine del partito. Non darei per scontato, invece, che Renzi sia l’unico che possa vincere le elezioni. Molto dipenderà da quando si voterà. Se le elezioni fossero, per esempio, tra due anni, e se in questi anni Renzi fosse il capo del Pd, potrebbe arrivare alle urne già in parte “bollito”.

 

(Paolo Nessi)