I “falchi” di Pd e Pdl sembrano in ritirata, ma la stabilità del governo è assicurata solo fino ad autunno. Per il momento sono tramontate assemblea congressuale del Pd ed elezioni anticipate entro poco tempo dopo l’estate. In sostanza tutto è rinviato a dopo la sentenza della Cassazione su Berlusconi che è attesa in ottobre. Ed è, infatti, in previsione di quel verdetto che ruota il riposizionamento in corso nel Pd e nel Pdl.



Nel Pdl il nervosismo su Letta è calato e la linea che prevale è quella di rafforzare la leadership del Cavaliere, ma evitando ogni estremismo che possa portare a isolamento. Berlusconi è quindi “falco” e “colomba” al tempo stesso. Da un lato procede a un “giro di vite” con rifondazione-epurazione del proprio partito in modo da avere alle spalle una formazione compatta di fronte al verdetto della Cassazione, dall’altro si attesta come elemento fondamentale per la stabilità del governo e del generale assetto istituzionale del Paese. Su questa linea il Pdl si arrocca quindi come nuova “Forza Italia”, ma non richiama gli “ambasciatori” presso il governo pur considerato una sorta di paese “estero”. “Falco” e “colomba”: insostituibile nel Partito e insostituibile per l’equilibrio del Paese. L’obiettivo è una sentenza non “irresponsabile”, ma che tenga conto dell’interesse alla stabilità italiana.



Nel Pd Matteo Renzi è anch’egli un “falco” in panchina nel senso che si riserva di tornare alla carica se in ottobre la situazione dovesse precipitare. Nell’immediato deve però scontare una certa imprudenza. Se la riunione dei “fedeli” del suo antagonista Bersani si è trasformata in una sorta di convention che ha ricompattato la maggioranza sia degli ex Ds sia degli ex Margherita (mentre nelle ultime settimane da D’Alema a Franceschini si guardava con favore al sindaco di Firenze), forse qualche errore è stato fatto.

Non si tratta solo di tattica, anche se troppa sicumera è sempre controproducente. In sostanza Renzi nelle ultime settimane ha ripetuto l’errore che per la verità ha illustri precedenti – da Craxi allo stesso Bersani – e cioè quello di prenotare Palazzo Chigi e promettere Quirinale infischiandosene degli inquilini che li stanno abitando. In questo caso con due aggravanti: si tratta in primo luogo d’inquilini appena eletti e in secondo luogo appartengono entrambi a una comune matrice di sinistra, anzi il premier è dello stesso partito del Sindaco di Firenze.



Se c’è stata una reazione-correntone contro il Sindaco di Firenze ciò è dovuto al fatto che Matteo Renzi ha dato l’impressione di puntare a essere un segretario plenipotenziario del Pd che liquida Letta portando a elezioni immediate e mettendo da parte in blocco tutti gli altri leader. Salvo, appunto, Romano Prodi, rispecchiando l’intesa che si profila tra il renziano Della Valle e il prodiano Bazoli nella vicenda Rcs-Corriere della Sera.

L’errore principale è però quello politico – ovvero la più recente posizione assunta – di Matteo Renzi e che consiste nel presentarsi come un nuovo “smacchiatore” antiberlusconiano.

Negli ultimi due anni Renzi era invece cresciuto nell’opinione pubblica come il rottamatore non solo di persone, ma di un’epoca, quella della cosiddetta “guerra civile”. Soprattutto era apparso come il leader del Pd più convincente per uno sfondamento nell’elettorato non di sinistra.

Negli ultimi due mesi invece Matteo Renzi, puntando alla conquista del partito e guardando quindi soprattutto agli attivisti del Pd, è sembrato spostarsi molto a sinistra. Ha cercato cioè di guadagnare il consenso dei malcontenti delle “larghe intese” mettendo sotto accusa Letta e persino Napolitano come responsabili di aver rimesso in gioco il Cavaliere e presentando se stesso come il campione della vittoria finale sull’Innominabile.

Egli rischia così di perdere il carisma del pacificatore che volta pagina mettendo alle spalle i veleni, ma soprattutto – in questa ricerca di consensi persino tra i no-Tav e i “giovani turchi” –  sta offuscando il suo “valore aggiunto” e cioè quello di poter essere un candidato che strappa a Berlusconi elettori di centro e moderati.

In conclusione Renzi spostandosi a sinistra si sta disarmando. Egli ha molta fretta. Teme che il passare del tempo con Letta a Palazzo Chigi non lo agevoli e vorrebbe una crisi che gli apra al più presto la strada per la premiership.

Ma il vero ostacolo che ha di fronte è la percorribilità del ricorso alle urne senza modifica della legge elettorale. Il presidente della Repubblica di fronte ad un’eccezione d’illegittimità sentenziata dalla Corte costituzionale non è più in grado di sciogliere le Camere senza una nuova legge. E chi può fare, in simile Parlamento, una nuova legge elettorale se non l’attuale maggioranza di governo di “larghe intese”? Sembra, infatti, improbabile che il Pd possa procedere unito in materia cercando maggioranze risicate e improvvisate (con Grillo o ex grillini). Le chiavi della legislatura rimangono quindi ancora in mano a Napolitano e Letta.