Si potrà, forse, un giorno comprendere, alla luce degli istanti che hanno preceduto la sentenza della Corte di Cassazione, cosa ha rappresentato Berlusconi per il Paese. lo scrive Enrico Mentana su Vanity Fair, spiegando come, in quelle ore, si è potuto toccare con mano il terrore per il vuoto che l’assenza di Berlusconi dalla scena pubblica avrebbe prodotto non solo a livello politico, ma anche economico e giornalistico. Basti pensare, sottolinea il conduttore del Tg di La7, a due giornali contrapposti, Libero e Il Fatto, che in questi anni hanno potuto svilupparsi con il riferimento costanza al Cavaliere, e avendo lui come boa. Come se non bastasse, il centrodestra teme ma non può confessarlo che la scomparsa dell’ex premier sancirebbe la sua di scomparsa, come i lillipuziani alla partenza di Gulliver, mentre il centrosinistra si troverebbe a dover spiegare al Paese come intende salvarlo. «Non è, o non è solo, un tributo all’importanza del personaggio: è anche e soprattutto la constatazione che l’Italia ha vissuto per due decenni nel sortilegio paralizzante di quella contrapposizione, e lo stallo continuo berlusconiani/antiberlusconiani ha impedito alla politica di crescere e maturare, e al Paese di rinnovare davvero la propria classe dirigente», chiosa Mentana, paventando un dopo-berlusconi ancora peggiore, con un Parlamento sempre più irrilevante, Grillo e Renzi «a menare le danze da fuori», «il governo a fare da nuova fortezza Bastiani, attendendo i Tartari» e, in futuro, «un clamoroso rimescolamento, con Letta, Alfano e Franceschini sempre più vicini tra di loro, all’insegna del partito popolare europeo». E infine, cè l’enorme partito degli astensionisti, e «l’Allegro Vegliardo di Arcore può alimentarne le fila, senza nemmeno più la spinta a partecipare all’ennesimo referendum pro o contro di lui».



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