Sono stati presi in contropiede dall’improvviso affondo di Berlusconi gli uomini del Partito democratico. Nessuno si aspettava un affondo tanto repentino da parte di un leader che in troppi giudicavano ormai azzoppato. Ma sull’Imu il Cavaliere ha dimostrato di saper ancora dettare temi e tempi della politica di casa nostra nonostante la condanna, e sulla plancia di comando del Pd si è accesa d’improvviso la spia dell’allarme rosso. Berlusconi ha provocato nei democratici una reazione scomposta, probabilmente proprio quella che lui voleva. E d’improvviso il governo si è ritrovato nuovamente in bilico, appeso al filo della cancellazione della tassa più odiata dal Pdl.
Netta è la differenza della reazione fra Palazzo Chigi e Sant’Andrea delle Fratte. Se Enrico Letta cerca di raffreddare una palla avvelenata, rinviando a fine agosto la definizione della proposta destinata a superare l’attuale assetto della tassazione sulla prima casa, lo stato maggiore democratico risponde con toni durissimi e stizziti che la cancellazione dell’Imu non appartiene ai patti di governo, con il rischio di infilarsi nella trappola che molti osservatori attribuiscono ai vertici del Pdl: far precipitare il paese verso elezioni in autunno, facendone ricadere la responsabilità su Epifani e soci.
L’Imu, infatti, viene giudicata da Berlusconi e dai suoi più stretti collaboratori una ottima ragione per rompere il fragile patto che sorregge il governo delle larghe intese. I democratici rischiano quindi di ritrovarsi con il cerino della rottura in mano, commettendo per l’ennesima volta l’errore di sottovalutare un avversario ostico e anti politico come il Cavaliere, che quando è ferito continua a dare il meglio (o il peggio) di sé.
L’offensiva di un Berlusconi disperato dall’assenza di sponde istituzionali affonda in questa fase come un coltello nel burro di un partito talmente sicuro di aver vinto la sua guerra ventennale da essere ormai troppo compreso nella sua dialettica interna da non rendersi conto del rischio che corre nel non saper prendere in mano l’egemonia della politica italiana. Divisi su tutto, sulla data del congresso, come sulle regole delle primarie, diviso sulla legge elettorale che verrà, allo stesso modo di come non c’è accordo sulla normativa anti-omofobia. Questo Pd preoccupa oltremodo il Capo dello Stato, e di sicuro ogni scenario è stato oggetto di attento esame nel corso del pranzo di Napolitano con Epifani, Zanda, Speranza e Finocchiaro.
Priorità del Quirinale rimane la continuità dell’azione di governo, per smuovere l’economia italiana e avviare il cammino delle riforme, inclusa (se non prima) la legge elettorale. Il Capo dello Stato intende esperire ogni tentativo di evitare che la situazione dopo Ferragosto precipiti verso le urne, ma non è affatto sicuro di poter contare sulla compattezza del partito da cui proviene. Epifani e Letta sono dalla parte del presidente, ma non altrettanto si può dire dei Renzi, dei Civati e delle Puppato, che ormai invocano sempre più apertamente la fine della forzata coabitazione con i berlusconiani.
Per paradosso, questa situazione di debolezza del Pd potrebbe spingere proprio Berlusconi a innalzare i toni sino alla rottura, per cogliere i democratici a metà del guado, trascinandoli a un voto cui in questo momento non sono affatto preparati. I più lungimiranti fra i dirigenti democratici cominciano ad accorgersi del rischio che si delinea all’orizzonte, e cioè di prendersi la responsabilità di una rottura su un tema bandiera del Pdl come l’Imu e di andare al voto in ordine sparso, senza congresso e senza un nuovo segretario. Per costoro rispondere al Pdl che, semplicemente, abolire la tassa sulla prima casa non si può è decisamente troppo poco e troppo pericoloso.
La fretta di Renzi, da questo punto di vista, sembra animata dal buonsenso: i meccanismi democratici per sanare le ferite di una primavera lacerante si stanno dimostrando troppo lenti, con buona pace del governo, che secondo lo stesso Epifani sta facendo piccole cose buone, ma piccole.
Lentamente, insomma, il governo guidato dall’ex vicesegretario del Pd Enrico Letta scivola verso la poca lusinghiera qualificazione di “governo amico”. Ogni giorno che passa l’esecutivo vede affievolirsi la sua spinta propulsiva, e in questo senso la condanna di Berlusconi ha rappresentato il colpo di grazia delle speranze che, all’ombra del Quirinale, possa aprirsi una seria fase costituente. Ma nella gestione di questa fase delicatissima, sino all’assemblea convocata per il 20 settembre per discutere delle regole delle primarie e della data del congresso, qualunque cosa può accadere, incluso l’essere colpiti dalla controffensiva di un Berlusconi che ormai non ha niente da perdere, ma che ha fatto chiaramente capire di non avere alcuna intenzione di farsi docilmente da parte.