E’ molto difficile pensare al passaggio dalla seconda alla terza repubblica italiana senza dare uno sguardo al contesto internazionale. Il Paese è oggi concentrato su un tema fondamentale e su altri problemi, triti e ritriti, che per venti anni hanno accompagnato la storia dal 1992 a oggi.
Il problema cruciale è quello di vedere come si può uscire dalla crisi economica che in cinque anni ha messo in ginocchio l’Italia. Si parla di segnali di crescita e di ripresa, anche se tenui e spesso contraddittori. Quello che comunque appare chiaro a tutti è che un’inversione di tendenza e una sia pur parziale ripresa non provocheranno in tempi brevi degli effetti tangibili, non muteranno facilmente il clima sociale che si percepisce nel Paese. Possono migliorare gli indicatori del Pil, dello spread, del deficit, ma la disoccupazione non diminuirà e il reddito degli italiani non è destinato a salire in tempi brevi.
Accanto a questo tema centrale, convivono, in un dibattito per alcuni versi surreale, altri temi come la “potenza” della televisione, la scelta del leader “ideale”, le oscillazioni sul “più Europa o meno Europa” e il perenne leitmotiv sul fatto di essere dei “virtuosi”, un tormentone di matrice azionista che si basa sulla vecchia questione che “purtroppo in Italia non c’è stata la riforma protestante”.
Le discussioni e i dibattiti collaterali sembrano avere, ogni tanto, meno presa sull’opinione pubblica, ma l’accurato “dosaggio di notizie” dei media riesce talvolta ancora a confondere il problema della crisi economica, della sua origine, delle sua causa e il problema della crisi dello Stato italiano. E’ per questa ragione che difficilmente si analizza la crisi italiana dal 1992, cioè dagli anni in cui è finita la “guerra fredda” e si è aperta un’epoca completamente nuova, che molti hanno fatto fatica a comprendere.
Se si ritorna a quegli anni, si può vedere quasi nitidamente che la vita dell’Italia è stata indirizzata soprattutto dagli americani, dagli Stati Uniti, che erano decisi a una riorganizzazione complessiva dell’Occidente dopo il lungo confronto con il mondo sovietico e contemporaneamente dalla politica tedesca che in quel momento puntava all’unificazione europea, a un’Europa forte, che cercasse di accompagnare la grande riunificazione tra la repubblica di Bonn e il regime di Pankow.
In quel momento, la classe dirigente italiana fu presa in contropiede e, con uno Stato in profonda crisi, non decise quasi nulla e fu travolta dagli avvenimenti che avevano “direttori d’orchestra” esteri. La massa aggrovigliata del dibattito sui problemi collaterali ha scandito tutti questi anni di seconda repubblica, con risultati alla fine disastrosi nel momento in cui la crisi economica e finanziaria mondiale si è combinata in modo perverso con la perdurante crisi dello Stato italiano. Di fatto, nessun problema reale è stato risolto in questi anni sia da parte di chi cercava di favorire i nuovi indirizzi internazionali, ma anche da chi cercava di difendere il ruolo dell’Italia in campo economico e produttivo.
Il Paese è andato avanti in una sorta di equilibrio precario, sempre più precario. Sebbene determinassero nuovi indirizzi, gli americani riconoscevano ancora un ruolo importante all’Italia e, come si diceva, i tedeschi puntavano su un’Europa unita e forte. Ma forse anche questo equilibrio precario è arrivato alla fine, perché tutto il Mediterraneo è andato in completa confusione o in completo subbuglio: Egitto, Turchia, Nord Africa, da Est a Ovest. La cosiddetta “primavera araba” ha creato un ‘area destabilizzata che appare difficile governare e quindi essere luogo di traffici sereni e normali. Si aggiunga a questo, il clima di diffidenza che si è creato tra Germania e Stati Uniti sulla politica economica mondiale dopo l’esplosione della crisi, aggiungendo la paura tedesca sui “debiti sovrani”, una sorta di cortocircuito che ha fatto perdere ai leader tedeschi ogni vocazione autenticamente europeista.
Quale nuovo contesto internazionale si presenta quindi oggi? E quali effetti può avere per l’Italia? E’ realistico pensare che adesso il confronto tra americani e tedeschi debba avere una sbocco. E in questo caso si possono ipotizzare almeno tre scenari. Il primo potrebbe essere quello di un grande accordo tra Stati Uniti e Germania sul mercato transatlantico con l’obiettivo di spartirsi tutto, Italia compresa. Il secondo scenario potrebbe essere quello di uno scenario intermedio, in cui l’Italia potrebbe diventare addirittura un terreno di scontro. Il terzo scenario è invece quello di un accordo debole, dove paradossalmente l’Italia potrebbe trovare un ruolo di mediazione.
Al di là di tutti i problemi collaterali, su cui si soffermano i grandi media italiani, quest’ultimo scenario potrebbe essere la reale carta politica su cui l’Italia potrebbe puntare e nello stesso tempo sancire il suo passaggio dalla seconda alla terza repubblica. E’ possibile che l’attuale classe dirigente italiana riesca a inserirsi in questo gioco con una speranza di successo? Dovrebbe rifarsi una credibilità non attraverso dichiarazioni di “virtù”, ma con atti concreti, con interventi di carattere economico e con riforme istituzionali in grado di ridare all’Italia una sua sovranità. Questa è la partita vera.