Silvio Berlusconi è davvero incandidabile? La cosiddetta legge Severino (decreto legislativo 235 del 2012), secondo cui è incandidabile chi ha riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, in apparenza porrebbe il Cavaliere fuori da ogni gioco politico. Tale norma, però, è considerata da molti in netto contrasto con l’articolo 66 della Costituzione, secondo cui “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”. Insomma, se la legge Severino dovesse effettivamente vietare a Berlusconi di candidarsi dopo la condanna in via definitiva a quattro anni di reclusione per frode fiscale nel processo sui diritti Mediaset, verrebbe in qualche modo confermata la superiorità della magistratura rispetto al potere politico. E’ di questa idea anche Alessandro Mangia, docente di Diritto costituzionale nell’Università Cattolica, secondo cui l’ultima parola sul futuro politico dell’ex premier spetta esclusivamente alle Camere.



Professore, crede che la legge Severino sia incostituzionale?
In questi giorni ho letto molte opinioni al riguardo e non tutte mi convincono. Non so se sia un problema di retroattività o di volontà popolare da rispettare. Credo che ci si debba porre un quesito diverso: quali sono i limiti entro i quali il legislatore può intervenire sull’elettorato passivo dei cittadini? La Costituzione parla di ineleggibilità e di incompatibilità, ma non di incandidabilità che è un istituto creato ex novo e che la Costituzione non conosce affatto. Leggevo nei giorni scorsi una intervista a Repubblica di Stefano Ceccanti che veniva presentato come relatore della legge e in cui cercava di spiegare cosa fosse questa incandidabilità dicendo che era una ineleggibilità rinforzata. E cioè che, intervenendo prima dell’elezione, con l’istituto della incandidabilità sarebbe stata sottratta alle Camere la possibilità di dire l’ultima parola in ordine alla appartenenza dei propri membri.



E non è così?
E’ una idea un po’ strana, questa. Il punto è che la incandidabilità riguarda il fatto che qualcuno, condannato, non possa essere inserito nelle liste elettorali prima di una competizione elettorale. E questo ci può anche stare, ammesso che il legislatore possa intervenire in questa misura sui diritti politici dei cittadini. Ma qui la situazione è diversa e sta fuori dal discorso di Ceccanti sulla incandidabilità. Qui si fa questione del fatto che qualcuno che sta esercitando il suo mandato debba lasciarlo perché condannato e perché è diventato “incandidabile”. E’ piuttosto diverso e sta al di fuori della logica che ha portato alla creazione di questo istituto. Tanto è vero che per far quadrare il cerchio il legislatore si è dovuto inventare una disciplina tampone – che è poi contenuta nell’art. 3 della legge Severino – e che riguarda la “incandidabilità sopravvenuta”.



E cosa si risolve con questo articolo? 

E’ un articolo che si limita a dire che “Qualora una causa di incandidabilità di cui all’articolo 1 sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione”. E’ una norma che non risolve il problema perché non poteva risolverlo. Su cosa delibera la Camera di appartenenza? Se delibera ai sensi dell’articolo 66 Cost. – come non può che essere – deve deliberare sulla incompatibilità o sulla ineleggibilità. Ma questa è incandidabilità. Perché uno deve lasciare il mandato?

Già, perché?
Perché all’art. 1 della legge si dice che “Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore” i condannati oltre i due anni? Non è casuale che si utilizzi una formula così generica, che non rientra nei casi dell’art. 66 Cost. Il punto è che finchè c’è l’art. 66 Cost. la legge non può stabilire l’interruzione del mandato senza un voto delle Camere senza violare automaticamente la Costituzione. E, piaccia o non piaccia, non lo può fare neanche la magistratura, quale che sia la logica che si vuole spacciare in giro.

La legge Severino non potrà quindi impedire a Berlusconi di candidarsi? 
Di candidarsi, allo stato dei fatti e finché c’è questa legge un po’ raffazzonata, glielo può impedire benissimo. Che chi è condannato se ne debba andare automaticamente, invece, è molto dubbio. Del resto qualcosa del genere era stato ventilato nei giorni scorsi da Piero Alberto Capotosti in una intervista al Corriere. La verità è che il voto del Senato non potrà in alcun modo essere presentato come un adempimento necessario della sentenza della Cassazione. Semplicemente perché non lo è. Di fronte alla formula per cui ‘Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità’ c’è poco da interpretare.

E l’evidenza, al di là delle interpretazioni, quale sarebbe?
Qui le Camere devono operare una valutazione di carattere squisitamente politico, insindacabile se non dagli elettori. In altre parole questo voto non può ridursi in alcun modo a una pura e semplice presa d’atto di quanto deciso dalla magistratura. Sono tutti qui i rischi per la tenuta del Governo che l’ultima esternazione di Napolitano ha cercato di esorcizzare. Siamo al punto per cui il Pd dovrà votare per fare interrompere il mandato del suo principale alleato di governo. Oppure dovrà andare a spiegare ai suoi elettori che ha votato per salvare il mandato di Berlusconi. A pensarci è una situazione surreale e anche un po’ ridicola. E allora si cerca di mascherare tutto con la storia della presa d’atto e sul fatto che questo sarebbe un voto a rime obbligate. 

Intende dunque dire che in questo caso la magistratura non può interferire con una decisione che spetta esclusivamente al Parlamento? 

Esatto, il voto delle Camere non è agganciato ad alcun parametro precostituito né dalla legge né dai giudici. E’ un voto tutto politico, come era ed è quello su ciò che resta delle immunità parlamentari. Se così non fosse verrebbero meno anche le macerie della separazione dei poteri all’interno del nostro sistema istituzionale. Così come il governo non può decidere chi sarà magistrato, allo stesso modo i magistrati non possono stabilire autonomamente chi può entrare o deve uscire dal Parlamento. La logica dello Stato di diritto vuole che a decidere sia un voto della camere non giuridicamente vincolato. 

In quali casi allora la legge Severino può effettivamente impedire una candidatura?
La legge Severino è stata pensata come legge anticorruzione. Questa legge introduce tutta una serie di limitazioni al diritto costituzionale di svolgere funzioni rappresentative. Quindi funziona benissimo per i consigli comunali o regionali che, al contrario delle Camere, non sono garantiti dall’articolo 66 della Costituzione. E’ che ci si dimentica che il Parlamento è – e dovrebbe continuare ad essere – un potere dello Stato. Oggi sembra che la separazione dei poteri esista al solo scopo di tutelare l’indipendenza della funzione giudicante. Anche questo è molto divertente. 

Qualora il Senato votasse l’incandidabilità di Berlusconi, la legge Severino potrebbe impedire al presidente Napolitano di nominarlo senatore a vita? 
Questo è un problema completamente diverso. Ma ci porta allo stesso punto che oggi si vuole rimuovere. Anche una scelta del Capo dello Stato in questo senso sarebbe una valutazione esclusivamente politica. E politica oggi sembra diventata una parolaccia sconcia. Se vuole la mia personalissima opinione, non credo sia questa la via d’uscita che ha in mente Napolitano per risolvere la situazione. A Napolitano interessa la tenuta del Governo. Che è la condizione per poter praticare quel po’ di politica fiscale e di bilancio che ancora ci lasciano fare dopo quella vera e propria automutilazione che è stata la approvazione del ‘Fiscal compact’. E per cercare di vivacchiare ai margini delle decisioni prese tra le signore di Berlino e i signori di Bruxelles. Se cade il Governo chi li stanzia gli 80 miliardi del Fiscal Compact? Altro che Imu da abrogare. In uno scenario del genere si capisce che Berlusconi ormai è marginale. Come lo è il Pd. E’ che ci si appassiona a questi temi per non parlare d’altro. 

Come crede potrà risolversi la situazione? 
Al momento è davvero difficile immaginarlo. Per quanto riguarda questa condanna, credo che la migliore soluzione per il condannato possa essere l’affidamento ai servizi sociali, ipotesi di cui abbiamo letto in queste settimane. Ma c’è un altro problema di fondo da tenere in considerazione: Berlusconi è in attesa di altri giudizi i cui esiti probabilmente andranno a sommarsi a questa recente sentenza. Insomma, nei prossimi mesi la situazione non potrà che complicarsi ulteriormente. 

(Claudio Perlini)