Se non fosse Ferragosto il termometro della politica italiana continuerebbe a segnare febbre alta, anzi altissima. Il nodo rimane sempre lo stesso, il futuro politico di Berlusconi; la nota del Quirinale ha posto dei paletti importanti, senza però fornire risposte definitive a una questione che rimane assai complessa.



Giorgio Napolitano ha confermato il proprio ombrello protettivo al governo guidato da Enrico Letta, e la vita dell’esecutivo si è innegabilmente allungata. Far sapere che farà ogni sforzo per evitare il precipitare degli eventi verso le urne equivale a tagliare le ali ai falchi di entrambi gli schieramenti. Tanto i duri del Pd, alla Renzi o alla Civati, quanto i corrispettivi dell’altra sponda, le Santanchè o i Verdini, sanno che troveranno nel Quirinale a settembre una robusta trincea verso una soluzione vista dal Presidente come il caos. 



Una simile copertura “aerea” consente al governo di respirare e di riprendere slancio, in maniera simile a quanto accaduto all’inizio del suo mandato. Il passaggio rimane strettissimo e il presidente del Consiglio ne è perfettamente cosciente. Può rispondere con la sola arma dei fatti, perché ogni incertezza potrebbe fornire nuove armi a chi spera di cogliere opportunità dalla caduta dell’esecutivo. 

Da qui l’opportunità di accelerare nel processo delle riforme, anche perché il tempo stringe e alcuni nodi debbono essere sciolti al massimo entro la fine di agosto, a cominciare dal ridisegno della tassazione sulla casa. L’ostacolo è insidioso, anche perché la mancata abolizione completa dell’Imu verrebbe vista da una parte del Pdl come la ragione perfetta per rompere. Al contrario, una soluzione equilibrata consentirebbe a Letta di affrontare l’autunno con maggiore serenità. 



Rimane difficile immaginare che in questo clima teso possa davvero riuscire a mettersi in moto il treno delle riforme costituzionali. E, se anche lo facesse, non avrebbe alcuna garanzia di arrivare in porto, visto i tempi lunghi che comporta il processo. Ma Letta deve dare mostra di provarci, puntando all’obiettivo minimo di arrivare alla riforma della legge elettorale.

Assai più fertile pare il campo dell’economia, nel quale c’è molto da fare e forse qualche risultato (anche dei provvedimenti già presi) potrà vedersi in tempi brevi. Letta poi dovrà cercare di volgere a proprio vantaggio il momento di grande debolezza dei partiti che lo sostengono, a cominciare dal suo. Dentro il Pd i giochi del congresso sono tutt’altro che fatti, mancando persino le regole per il suo svolgimento e per le primarie. E la sensazione che possa anche coagularsi un fronte anti Renzi rimane sullo sfondo, anche con le mosse ferragostane di molti leaders che rimangono per adesso a bordo campo, come il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, estensore di un documento che sembra a molti un’autocandidatura anche se il diretto interessato smentisce.

Non è detto, però, che l’asse fra Letta e Gugliemo Epifani regga per sempre. Sinora ha funzionato, ma potrebbe infrangersi intorno al voto autunnale sulla decadenza di Silvio Berlusconi dal parlamento.

La reazione del Pdl intorno al rispetto della sentenza della magistratura (evocato come precondizione dallo stesso Napolitano) rimane però la principale incognita delle prossime settimane. Il Cavaliere ha passato Ferragosto riflettendo sulle prossime mosse da compiere, tutt’altro che rassegnato a farsi da parte. E nel suo partito l’unità sin qui dimostrata è più apparente che reale, al punto che in molti cominciano a ragionare su un dopo-Berlusconi sino a ieri impensabile, contribuendo ad alimentare caos e incertezza. C’è chi lo fa in silenzio e chi già ne parla apertamente. Se Giorgia Meloni si affretta a iscriversi a primarie immaginarie, magari in ticket con il leghista Tosi, lo stesso sindaco di Verona deve scontarsi con il no granitico del suo ex leader Bossi, che gli preferirebbe a quel punto Marina Berlusconi. Ma la figlia del Cavaliere sta facendo di tutto per non essere coinvolta, mentre rimane un’incognita il ruolo futuro di Angelino Alfano, che qualcuno vorrebbe sganciato dal governo (o quantomeno dal Viminale) per occuparsi a tempo pieno del partito.

Persino dentro lo schieramento centrista le acque sono agitate e il divorzio fra Mario Monti e Pierferdinando Casini è per la maggior parte degli osservatori solo questione di qualche settimana. 

Con questi elementi dovrà fare i conti Enrico Letta, che per non dare l’impressione di rallentare ha già riempito la sua agenda di appuntamenti significativi. Dopo essere stato nei giorni scorsi in Azerbaijan ad occuparsi di energia, è atteso in rapida successione dal Meeting di Rimini, da un viaggio a Vienna e dal G20 di San Pietroburgo ai primi di settembre, perché l’imperativo per lui è saper correre più veloce di quanti vorrebbero la fine dell’esperienza del suo strano governo che all’estero sembra piacere assai più che in Patria.