Tutto è pronto per cominciare al Meeting di Rimini, dove domani l’incontro inaugurale vedrà la presenza del presidente del Consiglio Enrico Letta, che interverrà sul tema della mostra curata dalla Fondazione per la Sussidiarietà: “Sinfonia dal ‘Nuovo Mondo’. Un’Europa unita, dall’Atlantico agli Urali”. Proprio da qui parte la chiacchierata del premier con ilsussidiario.net.



Cominciamo proprio dall’Europa. Lei ha detto che una volta l’Italia era un Paese grande in un mondo piccolo; oggi è un Paese piccolo in un mondo grande. Da qui la sua convinzione da sempre europeista. Che significato ha per l’Italia oggi l’appartenenza all’Europa? 

Qualsiasi discorso che abbia davvero a cuore il destino dell’Italia non può non cominciare dall’Europa, e sono davvero felice di poter inaugurare personalmente la mostra di Rimini. È vero: per decenni l’Italia è stato un Paese grande in un mondo piccolo. Un mondo il cui perimetro, specie sul piano dei rapporti economici internazionali, si fermava all’Occidente e allo scenario venutosi a creare con la Guerra fredda. Dagli anni Novanta questa situazione è evidentemente e progressivamente cambiata.



In che modo?

Ci sono nuovi protagonisti dell’ordine mondiale, un G20 sempre più determinante sulle grandi questioni globali, paesi emergenti che crescono sistematicamente a tassi a due cifre. Ho potuto appurarlo con i miei occhi visitando qualche giorno fa l’Azerbaijan: il mondo cambia, il mondo corre. L’Italia, da sola, non può semplicemente reggere questa rivoluzione. Può, invece, farcela e tornare a competere solo dentro un’Europa più solida e unita, anche e soprattutto sul piano politico. Parlo però – e ne parlerò nel mio intervento a Rimini – di un’Europa diversa da quella che abbiamo osservato in questi anni di crisi.



A quale Europa si riferisce?

Non l’Europa del rigore e basta, ma l’Europa dei popoli, quella che costruisce risposte concrete ai bisogni e ai problemi veri delle persone. Mi pare che le conclusioni del Consiglio europeo dello scorso giugno, con gli interventi in favore della lotta alla disoccupazione dei giovani, segnino un cambio di passo. È in questa direzione che vogliamo e possiamo continuare a insistere.

L’Italia, riceve dall’Ue assai meno di quanto versa, eppure viene giudicata parte della “periferia” d’Europa e una minaccia incombente per l’euro. Che si può fare per cambiare questa immagine?

Dobbiamo, prima di tutto, avere maggiore fiducia in noi stessi. Uscire da quella cappa di sottovalutazione, autolesionismo, benaltrismo che troppo spesso ci toglie ossigeno. Dimostrare all’Europa e al mondo che non c’è più bisogno che ci si dica di fare i “compiti a casa”. I sacrifici li abbiamo fatti e li stiamo facendo non perché ci sia qualcuno a imporceli, ma perché siamo un Paese adulto che vuole ricominciare a costruire il futuro dei propri figli. Un Paese che vuole parlare quel linguaggio della verità e della responsabilità al quale il presidente Napolitano, proprio dal Meeting di Rimini, due anni fa, ci ha richiamato. L’Italia può farcela: questo è il messaggio. 

 

Cosa risponde a chi considera l’euro una sciagura?

Rispondo che è una sciocchezza: l’euro non è una sciagura. Il punto è che si tratta di un solo tassello della più ampia, e ambiziosa, Unione economica e politica. In questa prospettiva tutti gli strumenti adottati non devono avere il sapore della contingenza, ma puntare dritto verso una maggiore integrazione. Penso, ad esempio, all’Unione bancaria. La stiamo sostenendo con grande convinzione e continueremo a farlo nei prossimi Consigli europei, ponendo poi il tema al centro del semestre di presidenza italiana dell’Ue, l’anno prossimo. 

 

Proprio in vista del semestre italiano di presidenza dell’Ue, ritiene che sia possibile superare la posizione tedesca di austerità, una volta passato lo scoglio delle elezioni politiche in Germania il 22 settembre prossimo? E battersi per un’Europa dello sviluppo e della solidarietà?

Lo dicevo prima: dobbiamo batterci per un’Europa che torni ad avere un’anima, che alimenti le speranze di centinaia di milioni di cittadini, che si configuri come la più alta e nobile idealità delle nostre generazioni. Più vicina ai cittadini, più efficiente, più coraggiosa. Un’Europa che non vive di procedure e routine, ma che si dà obiettivi e li realizza con serietà e tempestività.

 

L’economia è la priorità per cui è nato il suo governo e su cui si basa la sua azione. Al di là delle parole e dai toni usati da Marchionne, sono molte le ragioni che spingono gli investitori a preferire altri paesi per fare industria: energia, burocrazia, rigidità del lavoro, ecc. Si può invertire la rotta? 

È vero: fare industria in Italia è difficile perché molti fattori di svantaggio competitivo – esogeni ed endogeni al sistema produttivo italiano – condizionano i processi economici e sociali. Su questi fattori, però, stiamo lavorando e continueremo a farlo per dimostrare a tutti che, per quanto sì difficile, fare impresa in Italia è possibile. Penso ai tanti provvedimenti approvati nei nostri primi 100 giorni. Penso al “decreto Fare” e alle misure contro la burocrazia eccessiva, allo sblocco dei cantieri delle infrastrutture, alla nuova “Legge Sabatini” che incentiva l’acquisto di macchinari da parte delle piccole e medie imprese. Penso agli “ecobonus” per il risparmio energetico, gli elettrodomestici, i mobili. Penso al nuovo Piano della Cassa depositi e prestiti che il governo, nella sua funzione di azionista, ha contribuito a indirizzare nella direzione di una nuova politica industriale, più selettiva e lontana anni luce dalla logica degli investimenti a pioggia. Penso, infine, al grande progetto “Destinazione Italia”, che presenteremo a settembre per ribadire un messaggio chiaro: vale la pena di investire in Italia.

 

Cosa fare per ridare fiato al sistema delle nostre imprese? A parte il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione, che costituisce però un dovuto pregresso, non pare di vedere all’orizzonte provvedimenti incisivi. L’autunno porterà con sé qualche provvedimento concreto?

Molti degli interventi adottati li ho appena descritti. Mi permetto di ribadire, benché riconducibile a un “dovuto pregresso”, l’importanza dell’azione sui pagamenti dei debiti della Pubblica amministrazione, perché la tempistica può fare la differenza per far sì che le imprese siano in grado di cogliere e supportare la ripresa. Altri due temi essenziali riguardano la programmazione dei fondi europei e, come dicevo, il nuovo ruolo della Cassa depositi e prestiti, presidio essenziale per il supporto all’impresa e allo sviluppo.

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