Non si sa più come chiamare le persone e le cose: la denuncia di Beppe Grillo sul suo blog oggi ha a che fare con l’uso delle parole e delle terminologie nell’epoca chiamata del politicamente corretto, il politically correct. In un’epoca, si dice nel post, dove alcune parole possono costarti la denuncia per diffamazione, Grillo critica questa usanza perché, dice, ha ridotto le nostre conversazioni in parole sintetiche e di plastica. “Parlare come si pensa è diventato uno scandalo. La morte è un dolce trapasso. Berlusconi è uno statista, non un evasore fiscale. Non si diventa vecchi rincoglioniti, ma anziani saggi. I lavori umili e socialmente utili sono scomparsi. Lo spazzino è un operatore ecologico. Non ci sono più ciechi e sordi, ma non vedenti e deboli di udito”, scrive il leader del M5S. E’ una piaga ipocrita, la definisce. Con la solita satira corrosiva, si scaglia contro “l’immunità della parola” che ad esempio proibisce anche di pronunciare il nome del presidente della Repubblica: “All’ingresso di Montecitorio la politically correct Boldrini metterà la targa “Non bestemmiare e non nominare Napolitano invano“. Oppure l’agibilità politica invece della grazia, riferendosi alla condanna di Berlusconi. E chi, a pieno diritto dice Grillo, dovesse esclamare che l’Italia è un paese di m…, sarebbe sanzionato: “se avesse detto “Questo è il Paese che amo” sarebbe un perfetto candidato per la presidenza del Consiglio”. Citando poi il libro La cultura del piagnisteo di Robert Hughes attacca un simulacro del politicamente corretto, gli omosessuali: “L’omosessuale pensa forse che gli altri lo amino di più, o lo odino di meno, perché viene chiamato “gay” (un termine riesumato dal gergo criminale settecentesco, dove stava a indicare chi si prostituisce e vive di espedienti)? L’unico vantaggio è che i teppisti che una volta pestavano i froci adesso pestano i gay”. Quando parli, aggiunge, devi valutare chi potresti offendere: un gruppo religioso, un’istituzione, una comunità, un’inclinazione sessuale, un’infermità, un popolo. “Non sai più come chiamare le cose, le persone. Un immigrato clandestino è un rifugiato alla luce del sole. Razzi non è ignorante, non ha una perfetta padronanza della lingua italiana. E’ una dittatura che riguarda anche noi stessi” dice ancora. Fino a toccare la morte: citando ancora lo scrittore Hughes, conclude così: “la nostra verecondia verbale si spinge oltre la morte: un cadavere. esortava il “New England Journal of Medicine“, andrebbe chiamato “persona non vivente“. Di conseguenza, un cadavere grasso sarà una persona non vivente portatrice di adipe.”