Sono passati 59 anni dalla sua morte (avvenuta il 19 agosto 1954 a Sella di Valsugana). Assistendo alla parabola della Seconda Repubblica, ci facciamo convinti che davvero Alcide De Gasperi rimane l’uomo politico più importante della nostra storia. Una storia piena di speranze, rivelatesi in alcuni casi mere illusioni. Prima con la fine ingloriosa della Prima Repubblica, e oggi con la decadenza della Seconda. Per ridare un minimo di prospettiva, uno sguardo di futuro, proviamo a ricordare le sue parole: “La differenza fra un politico ed uno statista sta nel fatto che un politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista pensa alle prossime generazioni”.



Al di là della citazione, è tutta una sensibilità politica che andrebbe analizzata, in relazione a quel tempo storico, per avere qualche chance di comprensione per il nostro tempo storico. Andrebbe cioè studiato più da vicino il leader assieme al suo contesto, per comprendere il valore di scelte che, dopo il grande dramma della lotta al nazi-fascismo, che per noi significò anche “guerra civile”, e subito dopo la grande fatica della ricostruzione, rappresentarono l’avvento a una nuova stagione di libertà e di progresso. Nessun altro politico del tempo ha avuto cioè in prima persona la responsabilità che Alcide De Gasperi allora si assunse con coraggio e determinazione.



Quali sono, al di là del clima da “guerra fredda”, le maggiori difficoltà che incontrò allora, e che ritroviamo ancora oggi al fondo della grave crisi che sta segnando il momento della storia italiana dei giorni nostri? Potrei riassumerle con le parole di un grande amico dello statista trentino, don Luigi Sturzo: le “tre male bestie della democrazia”, cioè la partitocrazia, lo statalismo e lo sperpero del denaro pubblico.

Tre “male bestie” che ancora oggi impediscono quelle riforme che la nostra “società aperta” globalizzata sta chiedendo a gran voce, trovando muri di gomma in tutti i partiti, lobbies, corporazioni, tanto da consentire ai padri di scaricare sui figli non solo un grande debito pubblico, ma, prima ancora, vere e proprie ingiustizie. Non solo. Allora comprese che una sana politica ha bisogno della partecipazione di tutti, ma nell’ottica della responsabilità.



Anche se il 18 aprile del 1948 la DC ottenne la maggioranza assoluta dei seggi, volle un governo di coalizione. Credeva, cioè, nella democrazia della partecipazione, rispetto alla più diffusa pratica delle minoranze che si fanno maggioranze con leggi elettorali ad hoc. Propose nel 1953 quella che fu definita dalla sinistra di allora “legge truffa”, una legge che avrebbe consentito alla coalizione che prendeva comunque la maggioranza assoluta dei consensi di ottenere un premio di maggioranza, per garantire la governabilità. Altro che il “porcellum” dei giorni nostri, legge apprezzata da tutti i partiti, al di là delle frasi di rito, perché consente alle segreterie di scegliersi i parlamentari.

De Gasperi fu anche tra i padri dell’Europa unita, unica garanzia contro nuovi rischi di conflitti e prevaricazioni. Dovremmo tutti riflettere: per lui fu chiaro, allora, che il valore di una scelta politica dipendeva dalla qualità della politica estera, non viceversa. Tant’è che pensò da subito, assieme ad Adenauer e a Schuman, alla nuova Europa la cui unità avrebbe dovuto porre fine a 500 anni di guerre continentali: ecco allora il primo passo il 18 aprile 1951, cioè la Ceca, un trattato economico (sul carbone e l’acciaio) che gettava le basi della futura Europa politica, di un’idea di Europa che ai giorni nostri è ancora un piccolo sogno, anche se molti passi in avanti sono stati fatti (basti pensare che più della metà delle leggi nazionali non sono altro che ratifiche di direttive dell’Ue).

Non ci può essere politica interna senza, cioè, uno sguardo più ampio: De Gasperi precursore del “glocalismo” dibattuto ai nostri giorni (pensa globale, agisci locale). Centralità, dunque, della politica estera rispetto alla politica interna, il contrario della politica attuale. Allora questa apertura era scelta obbligata: l’Italia usciva sconfitta da una guerra dolorosissima, e si ritrovava da subito a condividere il confine orientale con i regimi comunisti, per cui era essenziale riacquisire un nuovo credito internazionale e gli aiuti necessari alla ricostruzione e alla ripresa. Il legame con gli Usa fu, a questi fini, centrale, soprattutto per il nascente clima da “guerra fredda”.

Se anche nella DC erano forti le tendenze neutraliste (chi ricorda più gli scontri con Dossetti, dimessosi da tutto nel 1951), la determinazione di De Gasperi comportò che l’Italia aderì al fronte occidentale, con l’adesione alla Nato, nonostante il fortissimo fuoco di sbarramento delle sinistre. Ma ricordiamo anche gli accordi con l’Austria (questione Alto Adige: Accordo De Gasperi-Gruber del 5 settembre 1946), che evitarono che questa regione assumesse caratteri di tipo basco o corso. Il suo sogno fu la Comunità europea di difesa in alternativa/integrazione alla Nato (la prima idea è del maggio 1950, su ispirazione dei Altiero Spinelli), primo nucleo di una unificazione politica. Un progetto fallito per il voto contrario dell’assemblea nazionale francese (30 agosto 1954).

Ma De Gasperi è giusto che venga ricordato, a 59 anni dalla morte, non solo per i suoi meriti politici. È giusto ricordarlo, anzitutto, perché incarnò, potremmo dire, la cristiana virtù dell’etica politica. Un chiaro punto di riferimento anche per chi oggi intende dedicarsi al bene comune con cristiana laicità.