La XVII legislatura si è aperta con uno scenario politico e istituzionale noto a tutti. Il risultato elettorale non ha consegnato ad alcuno schieramento la maggioranza parlamentare necessaria per governare. Si è dunque imposta come unica strada la formazione di un governo di grande coalizione. Un “Governo di servizio al Paese”, lo ha definito il presidente del Consiglio Enrico Letta. Una strada fortemente voluta dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, convinto che un nuovo ricorso alle urne, in presenza dell’attuale legge elettorale, non avrebbe prodotto un risultato diverso. Inoltre, si sarebbe messo il Paese in una situazione di ulteriore incertezza, che avrebbe visto allontanarsi la ripresa dell’economia e l’aggravarsi della crisi economica.
Quello che il presidente della Repubblica ha chiesto ai partiti, pur conscio delle difficoltà politiche del caso, è stato un atto di grande responsabilità nei confronti dell’Italia: superare le pur legittime obiezioni e i pur legittimi interessi di parte per mettere al primo posto l’interesse del Paese.
In realtà, il presidente Napolitano da tempo insisteva su questo tasto. A rileggere oggi il suo magistrale intervento di apertura al Meeting di Rimini il 21 agosto 2011, non si può non rimanere colpiti per la lucidità del suo autorevole giudizio, tanto da considerarlo un vero e proprio “manifesto”. “Potrà anche l’apporto insostituibile della politica e dello Stato manifestarsi in modo da rendere possibile il superamento delle criticità e delle sfide che oggi stringono l’Italia? Ci sono momenti in cui – diciamolo pure – si può disperarne. Ma non credo a una impermeabilità della politica che possa durare ancora a lungo, sotto l’incalzare degli eventi, delle sollecitazioni che crescono all’interno e vengono dall’esterno del Paese. Il prezzo che si paga per il prevalere – nella sfera della politica – di calcoli di parte e di logiche di scontro sta diventando insostenibile. Una cosa è credere nella democrazia dell’alternanza; altra cosa è lasciarla degenerare in modo sterile e dirompente dal punto di vista del comune interesse nazionale”.
Quando dieci anni fa nacque l’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà, in fondo partì con una duplice scommessa. Da una parte, la convinzione che la politica non dovesse essere un’arena caratterizzata da uno scontro perenne, ma che si potesse dialogare, anche in modo acceso e appassionato tra persone di schieramenti e culture diverse avendo come ottica innanzitutto il bene comune. Dall’altra, che la sussidiarietà fosse il criterio più giusto nell’organizzazione tra società e Stato per il raggiungimento del bene comune, perché pone al centro la persona e la sua capacità di aggregarsi e di prendere iniziativa per rispondere ai bisogni propri e della comunità. L’Intergruppo è nato non come un progetto politico, né come una strategia, ma innanzitutto come un luogo sistematico di incontro tra persone accomunate da questa concezione della politica.
Qualcuno ha lamentato, nel passato, che questo fosse troppo poco, che l’Intergruppo avesse solo un valore culturale, ma che non incidesse nella vita politica del Paese. In questi anni vi sono stati tentativi di istituire forme di dialogo (ricordate “I Volenterosi”?), ma sono durati per poche settimane, pur con grande enfasi mediatica. L’Intergruppo si è ricostituito ad ogni legislatura e ha proseguito a trovarsi con grande fedeltà. Ma il giudizio più chiaro sul suo valore lo ha dato nel discorso al Meeting sempre il presidente della Repubblica, che concludeva il brano citato pocanzi con queste parole: “Qui in Italia, va perciò valorizzato ogni sforzo di disgelo e di dialogo, come quello espressosi nella nascita e nelle iniziative, cari amici Lupi e Letta, dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà”.
Negli anni scorsi, le iniziative dell’Intergruppo hanno portato a risultati concreti sul piano culturale (gli incontri di Spineto, il bipolarismo mite, ecc.) e legislativo (il 5×1000, le leggi sul rientro e la mobilità dei talenti, lo Statuto delle Imprese, il finanziamento al lavoro nelle carceri, ecc.). Ma, da poco più di 100 giorni, il principale risultato dell’Intergruppo è sotto gli occhi di tutti: nel momento di empasse della vicenda politica, ha costituito quella che una volta si definiva “la riserva strategica” del Paese.
Si potrebbe pensare che il ruolo dell’Intergruppo sia esaurito, ma non è così. Certo, Letta, Lupi, Alfano (e molti altri promotori storici dell’Interguppo) sono oggi impegnati nel Governo, ma, in questa legislatura, con Gugliemo Vaccaro e altri 54 deputati e senatori, abbiamo deciso di proseguire in questo lavoro e di proporlo a tutti i nostri colleghi, consapevoli che questo dialogo va proseguito e che la sussidiarietà ha ancora molta strada da fare per affermarsi. Che poi le adesioni siano a oggi oltre 200, manifesta la necessità che in molti avvertono di continuare, anzi, con maggiore intensità.
Ieri al Meeting di Rimini alcuni promotori sono intervenuti sul tema “valorizzare i talenti”, un altro modo di dire sussidiarietà. Da settembre riprenderanno le iniziative; tra queste, un convegno in parlamento sulle due grandi questioni irrisolte dell’Italia (la questione del Nord e la questione del Sud), un incontro su povertà e sussidiarietà e le giornate di formazione che verteranno su “L’Europa che verrà”. Ma ci sono sul tappeto anche le riforme istituzionali e le politiche per l’uscita dalla crisi. Anche su questo c’è, più che mai, bisogno di dialogo e di sussidiarietà. Ripeto, non per un progetto politico o strategico, ma per una esigenza reale di vivere la politica come tensione al bene della persona e al bene comune. Una esigenza che avvertiamo innanzitutto come richiamo a noi stessi.