La cosa che più colpisce nel messaggio-intervista sull’Europa che Napolitano ha rivolto ieri ai partecipanti al Meeting di Rimini è la prospettiva da cui egli guarda la crisi economica, sociale e ideale che stiamo vivendo. Non è stato un discorso tecnicistico sull’emergenza determinata dalla crisi del debito pubblico, né soltanto una considerazione legata alla conseguenze della più generale crisi economica globale che si è innescata nel 2008 e che in Europa non è ancora finita. Si tratta invece di una preoccupazione che parte dal mutamento radicale dei rapporti di produzione e di potere che sono determinati nel mondo intero in seguito al processo che chiamiamo globalizzazione. Sono quindi la natura e la collocazione e dunque anche la speranza dell’Europa a essere radicalmente mutate a partire dall’inizio del secolo e se noi non affrontiamo questo cambiamento non verremo nemmeno a capo della nostra crisi economica e finanziaria.
Una cosa nel messaggio del capo dello Stato è molto chiara: l’Europa non vive più in una condizione di privilegio e di dominio. Napolitano ha citato un passato dell’Europa diventato quasi mitico. Fino agli anni ‘80 è stata una marcia trionfale perché l’Europa unita è stata in quei decenni una convenienza per tutti i popoli europei: tutti i paesi che hanno aderito hanno guadagnato qualcosa, mentre il processo di sviluppo reso possibile dall’integrazione ha beneficiato le periferie – pensiamo alla Sardegna per l’Italia, a paesi come la Spagna, il Portogallo, la stessa Grecia, l’Irlanda.
Poi le cose sono cambiate. Molti paesi grandi e forti sono emersi sulla scena del mondo, nella competizione coi quali solo l’Europa unita può gareggiare. Questo è un elemento sul quale non dobbiamo stancarci di riflettere. La crisi del debito pubblico dei paesi più indebitati come l’Italia, la Spagna e la Grecia è gigantesca se vista nella dimensione nazionale, ma può essere risolta se affrontata in una dimensione continentale.
Fino a che l’Europa è stata una convenienza i popoli hanno lasciato fare alle élites, ma questo ha creato un processo di costruzione europea delle cui caratteristiche oggi stiamo pagando il prezzo. Adesso che c’è la crisi, i paesi che non vedono più la vecchia convenienza si accorgono dell’aspetto troppo dirigistico con cui sono state costruite le istituzioni europee. Dunque si comprende bene come per Napolitano, che è un europeista di antico lignaggio, senza una costruzione più democratica, più popolare dell’Europa, risulti poi arduo immaginare una reazione morale nei momenti di difficoltà.
Non a caso il Presidente ha affrontato il tema dell’economia sociale di mercato, che costituisce una sorta di “anima” dell’Europa che la distingue da altre aree e aggregati economici, come ad esempio gli Stati Uniti. L’economia sociale di mercato come modello europeo ha costruito una crescita e un benessere nel nostro continente straordinaria, dal dopoguerra fino alla fine dei Duemila. Quindi non si può rinunciare a quel modello, ma è evidente che esso richiede una profonda riforma sia perché dal punto di vista quantitativo le risorse disponibili non sono mai state così scarse, e dunque è impossibile sostenerlo nelle forme in cui funziona adesso, sia perché dal punto di vista ideale non risponde più a quei criteri di giustizia sociale e di uguaglianza per cui era nato.
Nessun cambiamento però è possibile se non è anche riforma morale. Non credo sia un mistero per nessuno che Giorgio Napolitano è rimasto molto colpito dal Meeting di Rimini quando lo ha visitato la prima volta due anni fa, e non è un caso che abbia citato il discorso che vi tenne allora nell’intervento inaugurale del suo secondo mandato il quale, teniamolo presente, è un discorso storico, perché nato in una circostanza inedita per la storia della Repubblica.
Ritengo che due cose, del Meeting, colpiscano profondamente Giorgio Napolitano. La prima è che il Meeting è fatto non solo, ma anche e soprattutto, di giovani. I giovani sono una fascia del Paese alla quale Napolitano si rivolge costantemente. Essendo un uomo che scommette sul futuro dell’Italia, sa bene che esso è nelle mani delle nuove generazioni e dipende dal livello di dignità personale e morale con cui i giovani vorranno essere presenti nella società italiana. Non ci si può aspettare dal futuro solo lavoro, intelligenza e innovazione. Credo che Napolitano, come è doveroso per chi interpreta l’unità nazionale, si aspetti anche passione civile e tensione morale.
La seconda cosa che lo ha certamente colpito nel rapporto col Meeting è proprio questo aspetto della tensione morale. Nessuno che abbia un minimo di conoscenza della realtà può ingannarsi sul fatto che un Paese affonda o si riprende a seconda della determinazione e della tensione etica che muove il suo popolo. Sono gli uomini che fanno la storia, non le forze anonime, ha sempre detto e continua a dire con passione il Meeting.
Credo che il concetto cristiano della centralità dell’uomo sia comune a molti umanesimi; è al centro dell’impegno e del lavoro di Comunione e liberazione, ed è senz’altro una convinzione che una persona laica come Napolitano, che ha come mestiere quello di unire la nazione e di spingerla al cambiamento, condivide pienamente.
Il testo è una riflessione che ilsussidiario.net ha raccolto dall’autore, editorialista de Il Corriere della Sera, a commento della video-intervista del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in occasione dell’incontro inaugurale del Meeting di Rimini dal titolo “Sinfonia dal nuovo mondo: un’Europa unita, dall’Atlantico agli Urali”.