Ieri il presidente del Consiglio Enrico Letta ha riferito al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, sull’esito del colloquio avuto con il segretario del Pdl Angelino Alfano. Su Berlusconi le rispettive posizioni sono apparse inconciliabili, mentre ci sarebbero stati margini per raggiungere un accordo su Imu e Iva. Per Mario Mauro, esponente di Scelta civica e ministro della Difesa, “occorre operare una netta divisione tra piano giuridico e piano politico”. Non per andare allo scontro, ma per muoversi entro i paletti stabiliti da Napolitano.

Ministro Mauro, secondo lei esiste la possibilità di un accordo tra Pd e Pdl sulla vicenda di Berlusconi?
Questo per me è impossibile saperlo. Affrontiamo invece il vero merito della questione.

E quale sarebbe, ministro?
Innanzitutto occorre operare una netta divisione tra piano giuridico e piano politico. Ciò significa che il Senato non è il quarto grado di giudizio del percorso giudiziario di Silvio Berlusconi. Il Senato ha il compito di applicare la legge Severino – che tra l’altro è una buona legge -, il cui esito certo è la decadenza di Berlusconi. Detto questo però il problema vero rimane quello politico. 

Lo espliciti, per favore.
Io non insisterei nel chiedere di assumere sul piano giuridico posizioni controverse o addirittura controproducenti rispetto a a quelli che sono i reali intendimenti di una legge che lo stesso Pdl ha votato. Mi preme invece sottolineare come non solo a giudizio del Pdl ma a giudizio unanime della società italiana e del contesto internazionale, siamo un paese in cui esiste un enorme problema legato al sistema della giustizia, al rapporto tra giustizia e politica e alla possibilità, attraverso il governo Letta, di garantire non solo la ripresa economica ma anche un più forte spirito di riconciliazione nazionale. Questi sono i termini del problema politico.

Che ci sia un problema giustizia è anche l’opinione di Berlusconi. Come affrontiamo dunque il problema politico?
Seguendo la riflessione del capo dello Stato il quale con notevole precisione istituzionale ha chiarito, nella sua nota del 13 agosto, che l’opportunità vera è legata al fatto di affrontare insieme – come è stato fatto a suo tempo nel gruppo dei saggi – il tema della riforma della giustizia. Sviluppare insieme, sulla base della proposta Quagliariello di revisione costituzionale, una approfondita riforma della giustizia consentirebbe di veder rifiorire l’esperienza della fiducia che è ciò che più manca al momento in un paese come il nostro.

Anche lei dunque propone un accordo.

Propongo un atto di realismo. Occorre ripristinare il senso dello stare insieme, che non è nelle corde  naturali del centrodestra e del centrosinistra, è evidente, ma è qualcosa cui si è obbligati per le circostanze che il paese sta vivendo. Sarebbe la premessa sulla quale far germogliare una armonia, requisito indispensabile per parlare di giustizia, e arrivare ad un atto di clemenza di iniziativa delle camere, cioè un’amnistia. Questa − e lo dico a titolo personale − è l’unica alternativa reale a un confronto politico immaginato per troppo tempo senza esclusione di colpi. Da una parte e dall’altra.

Sta dicendo che nel contesto di una rinnovata intenzionalità bipartisan ci potrebbero essere i requisiti per parlare di giustizia e fare quindi una amnistia. 
Esattamente.

Nella quale ricadrebbe anche il caso di Berlusconi. 
Di Berlusconi e delle migliaia di detenuti in sovrannumero che affollano le carceri italiane in attesa di giudizio. Il sistema carcerario italiano è inadeguato e sta scoppiando. Non sono io a dirlo, lo dicono puntualmente ogni anno i magistrati in apertura dell’anno giudiziario. La certezza del diritto e della pena ne uscirebbero rafforzate.

Secondo lei la nota di Napolitano del 13 agosto doveva contenere qualcosa di diverso da quello che vi si legge? È ancora attuale?
Lo è nel senso che ho cercato di chiarire. E secondo me contiene tutte le indicazioni che servono per muovere i passi necessari a superare la crisi.

Ieri Alfano ha esortato il Pd a “votare contro la decadenza”. Franceschini gli ha risposto che non si può “barattare la legalità con la durata di un governo”.
Torno a dire: è la legge Severino che per come è fatta postula la decadenza. Trovo difficile che si possa immaginare un contesto differente. Comprendo la dedizione e la richiesta del segretario Alfano, ma così facendo rimaniamo sul livello di un’alchimia esclusivamente finalizzata a rinviare le conseguenze di un ipotetico scontro. Ma è lo stesso scontro che dura da vent’anni e che va affrontato con una ampiezza di respiro diversa.

Se la legge Severino postula la decadenza, ciò vuol dire che Berlusconi…
Può presupporre che temporaneamente Berlusconi rimanga fuori dal Parlamento. Dal mio punto di vista non ne lederebbe minimamente la leadership, che esiste nella misura in cui il centrodestra italiano la riconosce come tale. 

Come usciranno Pd e Pdl da questa crisi?

In tutti i partiti ci sono fattori centrifughi e altri che muovono in senso contrario. Per dischiudere nuovi orizzonti in primo luogo ci vogliono leadership, in secondo luogo ci vogliono idee e proposte, e dal mio punto di vista il governo Letta è l’ultimo treno per ridare credibilità all’azione politica. Nel momento in cui questo governo saltasse, sia a destra che a sinistra − ma varrebbe paradossalmente anche per i nuovi soggetti come Scelta civica e M5S − ne deriverebbe innanzitutto un deficit di credibilità, perché quando la politica fallisce in circostanze così drammatiche, è il senso dell’efficacia e dell’efficienza della democrazia che viene meno.

Lei è appena stato al Meeting di Rimini. Che impressione ne ha ricavato?
La gente mi è sembrata chiedere una cosa sola: responsabilità, responsabilità, responsabilità.

(Federico Ferraù)