Nel gergo della marina e dell’artiglieria si parlerebbe di una salva di avvertimento. Sui mercati finanziari è andato in onda un antipasto di quel che potrebbe accadere con la caduta del governo Letta, e davanti agli occhi di Silvio Berlusconi si sono materializzati gli incubi più neri.
La borsa è andata a picco, il titolo Mediaset ha perso 150 milioni di euro in poche ore ed è stato sospeso più volte per eccesso di ribasso. E anche lo spread ha conosciuto un’impennata, pur mantenendosi ancora su livelli accettabili. Tutto già visto, deve aver pensato il Cavaliere, tutto dannatamente simile a quell’attacco speculativo dell’autunno 2011, che lo costrinse ad abbandonare Palazzo Chigi.
Si è trattato solo di un antipasto, probabilmente, ma sufficiente a mettere il capo del centrodestra con le spalle al muro, e a fargli capire che nei prossimi giorni dovrà fare una scelta dolorosissima: o combattere sino all’ultima stilla di sangue per mantenere la propria agibilità politica, oppure vedere le proprie creature in ginocchio, assalite da tutte le parti dalla speculazione finanziaria. Fra l’ottobre e novembre di due anni fa accadde qualcosa di molto simile. E convincerlo a gettare la spugna, più dello spread a 574, fu l’assalto alla sua Mediaset. E la vulgata vuole che siano stati Fedele Confalonieri ed Ennio Doris a convincerlo, per il bene del gruppo da lui stesso creato e che rimane il suo orgoglio.
Due anni dopo la storia rischia di ripetersi, con la non trascurabile differenza che stavolta Berlusconi combatte per evitare la propria uscita definitiva dalla politica in una ultima, disperata battaglia. Ed essendo la situazione assai più disperata del 2011, la sua decisione potrebbe essere diversa, anche se il prezzo da pagare fosse davvero alto e potrebbe mettere in forse l’esistenza stessa dell’impero mediatico berlusconiano.
Di sicuro l’offensiva della speculazione finanziaria ha consigliato prudenza, in attesa degli eventi, cioè dell’esito delle trattative frenetiche che si stanno svolgendo in queste ore, alla ricerca di una via d’uscita onorevole per tutti, che ancora non si vede all’orizzonte. Di sicuro molto ha pesato nell’ordine impartito a suoi di stoppare interviste e dichiarazioni pubbliche “per non fornire alibi alle manipolazioni”.
In realtà, dietro la scelta, oltre alle preoccupazione per gli attacchi in piazza Affari c’è anche la volontà di tenere compatto un partito nel quale si avverte ben più di uno scricchiolio. Non è solo lo stillicidio di affondi fra falchi e colombe a preoccupare Berlusconi. Certo, c’è la Santanchè da tenere a freno nella sua furia polemica, ma non solo.
Il timore dalle parti di Arcore è che la compattezza sin qui dimostrata dal Pdl sia più apparente che reale e che una o più brecce si possano aprire all’improvviso, al primo segnale di cedimento. Da qui la scelta di enfatizzare le voci intorno ad una campagna acquisti di senatori del centrodestra, che sarebbe in corso da parte di emissari del Pd. Secondo quanto denunciato dal leader di Grande Sud, Gianfranco Miccichè, non ci sarebbero promesse di soldi, ma di posti di sottogoverno.
Obiettivo dei “compratori”, veri o presunti che siano, sarebbe di arrivare a una ventina di voti che potrebbero garantire in Senato la sopravvivenza del governo di Enrico Letta anche in caso di uscita del Pdl dalla maggioranza. Che qualcosa di vero in questi rumors ci sia lo testimoniano le dichiarazioni possibiliste di Paolo Naccarato e di Domenico Scilipoti, l’ex dipietrista già protagonista di un altro voltafaccia parlamentare. E anche il precipitarsi di Brunetta a ricordare che, in caso di vittoria elettorale, non ci sarebbero certo problemi di posti nel Pdl, che con questa legge si vedrebbe i seggi più che raddoppiati.
Cautela, dunque, nel valutare tutte le mosse possibili, quindi, con gli occhi puntati da una parte sull’Imu (su cui Alfano giura che un’intesa sia possibile), e dall’altra sulle risposte possibili provenienti da casa Pd, per capire se la posizione concreta, in giunta, sarà quella rigida enunciata da Epifani, oppure quella problematica di Violante, disponibile a prendere in considerazione il ricorso alla Corte costituzionale in nome dei diritto alla difesa. Sullla sorte del governo Letta il barometro continua a segnare tempesta in arrivo, ma non è ancora detta l’ultima parola.