Qualunque cosa avesse fatto, il Pd, avrebbe sbagliato. Non raggiungere un accordo sull’abolizione dell’Imu avrebbe significato scontentare milioni di elettori proprietari di prima casa, raggiungerlo concedere a Berlusconi di intestarsene la vittoria. E’ stata scelta la seconda strada. Con tutte le conseguenze correlate. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Peppino Caldarola, giornalista, scrittore ed esperto di sinistra italiana.
Giunti a questo giro di boa, che succede?
Credo che la preoccupazione principale del Pd – al di là dei malumori della base, ormai congeniti – fosse quella di trovarsi di fronte ad una crisi di governo immediata; e di dover aprire un contenzioso con Berlusconi non tanto sulle vicende giudiziarie, quanto su una questione programmatica che, pur essendo un cavallo di battaglia del Pdl, interessa tutti gli italiani.
Quindi, a cosa è valso al Pd raggiungere l’accordo?
Nel partito il sentimento prevalente è quello del sollievo. Senza accordo, c’era il rischio di una caduta del governo. Ipotesi di fronte alla quale non solo gran parte degli elettori, ma anche dei dirigenti del Pd, non sarebbero stati pronti. Si sarebbe dovuto rinviare il congresso, fare le primarie per il premier, immaginarsi uno scontro Letta-Renzi (nessuno dei quali lo vuole). Insomma, l’accordo sull’Imu vale politicamente un tesoro. Molto più del suo ammontare economico.
Il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, si è affrettato a far presente che l’imposta sulla prima casa non è stata, in realtà, abolita. E che per finanziare la parte che è stata abolita non sarà più scongiurabile un aumento dell’Iva. Che partita si sta giocando?
Ha di fronte a sé alcuni problemi non di poco conto. Lui, come il resto della corrente ormai quasi sciolta dei Giovani Turchi, si trova ad appoggiare un governo che è il contrario di quello che ha sempre sostenuto di volere. E, al contempo, si ritrova nella posizione più governista. Gli ex dalemiani e gli ex giovani turchi, infatti, quasi sono sul punto di preferire Letta a Renzi.
D’Alema, invece, ormai certo che il governo duri e che le elezioni non saranno prima del 2015, ha suggerito a Renzi di non candidarsi a leader del Pd, ma come premier. E, magari, di partecipare alle Europee, per assumere, nel frattempo, una dimensione internazionale.
Tutti quelli ammettono Renzi per una carica, ma lo escludono per un’altra, temono in realtà la sua preferenza per la guida del partito. Il sindaco di Firenze sa che candidarsi alla presidenza del Consiglio e magari vincere le elezioni, con un partito ostile gli farebbe fare la fine di Prodi. La strada maestra, per lui, consiste quindi nel correre per Palazzo Chigi avendo un partito che è stato prima “rovesciato come un guanto”. Ecco, quando D’Alema gli suggerisce di non fare il segretario, è perché teme che si possa aprire una fase di leadership renziana assoluta.
I bersaniani gli sono ancora più ostili…
Beh, i bersaniani, più che altro, sembrano un fenomeno costruito ormai sul nulla. Al di là del controllo di qualche settore del partito, esistono solo mediaticamente, in quanto si presentano come i più feroci avversari di Renzi.
Sullo sfondo resta la vicenda giudiziaria di Berlusconi.
Sì, ma in tal caso, il Pd si sta muovendo all’unisono. Salvo il problema non banale posto da Luciano Violante.
Non crede che la sua proposta (sollevazione della questione di legittimità costituzionale da parte della Giunta), benché avversata dalla stragrande maggioranza del Pd in via ufficiale, è ufficiosamente quella preferita?
Il Pd non può appoggiare ufficiosamente questa proposta. La Giunta e l’Aula dovranno esprimersi con un voto circa l’eventuale incostituzionalità della retroattività della legge Severino. E il Pd non potrà fare altro che votare la decadenza. In fondo, il senso della proposta di Violante consiste nell’affermare che Berlusconi, nel corso del giudizio che sarà espresso dal Senato, avrà il diritto di manifestare le sue ragioni. Ora, poiché si tratta di una semplice possibilità, e non esista salvacondotto, non si capisce l’utilità di tutti questi ragionamenti. Salvo tirarla per le lunghe e dare qualche giorno di fiato in più al governo.
(Paolo Nessi)