La stessa identica richiesta va interpretata secondo due prospettive opposte. Napolitano ha invitato i partiti a riformare la giustizia, partendo dalla relazione conclusiva dei saggi, per favorire la pacificazione delle forze politiche all’indomani della sentenza della Cassazione; il Pdl, invece, brandisce la stessa riforma come un’arma per vendicare il proprio leader condannato a 4 anni (di cui 3 sono indultati) di reclusione. Quante chance ci sono che i partiti maggiori si accordino su un testo di riforma? Lo abbiamo chiesto a Gaetano Pecorella, già capogruppo del Pdl in commissione Giustizia, alla Camera.



Cosa ne pensa dell’interevento di Napolitano?

Per anni ci sono state maggioranze molto solide, ma la riforma non è mai stata fatta. Con un governo così debole dal punto di vista delle scelte, mi sembra una strada quanto mai difficilmente percorribile. In ogni caso, comprendo e condivido le ragioni di Napolitano.

Il Pdl ha iniziato a pretendere la riforma correlandola alla sentenza



Non c’è alcun rapporto tra una possibile riforma della giustizia e quanto accaduto in Cassazione. Con qualunque tipo di processo penale, infatti, quella sentenza sarebbe stata uguale. Non sto dicendo che sia stata giusta o sbagliata, ma che quello che interessa al Pdl nell’ambito di una modifica dell’attuale disciplina non avrebbe potuto incidere in nessun modo sul pronunciamento dei giudici.

Cosa interessa prevalentemente al Pdl?

Indubbiamente, la separazione della carriere di giudici e pm. Un misura che l’avvocatura chiede da sempre e che, effettivamente, riequilibrerebbe il rapporto tra difesa e accusa rispetto al giudice. Tuttavia, un riforma di questo tipo, per via ordinaria, risulterebbe del tutto parziale, mentre per via costituzionale è impensabile trovare oggi i numeri. Altra cavallo di battaglia del centrodestra è la responsabilità civile per i magistrati.



Niente di tutto questo, però, fa parte della relazione conclusiva dei saggi di Napolitano

Sì, ma credo che Napolitano abbia voluto lanciare un messaggio politico, non tecnico. Ha invitato, cioè, a fare la riforma usando la bozza semplicemente come base. Ma, conoscendo il suo senso delle istituzioni, non si è di certo permesso di ipotizzare che quel testo debba essere interpretato in senso restrittivo dal governo o dal Parlamento.

La relazione suggeriva di affidare il procedimento disciplinare di secondo grado per tutte le magistrature ad una Corte istituita costituzionalmente

Una proposta analoga era contenuta in un ddl costituzionale che presentai io stesso all’inizio della precedente legislatura. Essa prevedeva l’istituzione della cosiddetta Alta corte di giustizia. Tuttavia, durante l’esame nella commissione Affari costituzionali fu abbandonata proprio dal Pdl, allora partito di maggioranza. Un abbandono del tutto inspiegabile. Non vedo perché oggi, quella stessa proposta, dovrebbe essere ripescata.

Epifani, dal canto suo, ha detto che il Pdl può anche scordarsi la riforma che ha in mente

Evidentemente, si riferiva proprio alla separazione delle carriere e alla responsabilità civile. Questi sono certamente gli elementi maggiormente divisivi rispetto al Pd. Un altro è la limitazione dell’intervento del giudice nell’orientare la direzione del dibattimento. Una proposta avanzata in passato prevedeva che i testimoni presentati dalle parti dovessero essere obbligatoriamente ascoltati dal Tribunale.

Qindi, tra le proposte contenute nella relazione dei saggi, quale può essere condivisa sia dal Pdl che dal Pd?

Probabilmente, la riforma della intercettazioni telefoniche. Nella legislatura che durò dal 2006 al 2008, quando ero capogruppo del Pdl in commissione Giustizia, fu concordato con il Pd un testo che iniziava a modificare la materia e che successivamente fu approvato in Aula dalla quasi unanimità. Questa, quindi, è una strada percorribile. Occorre capire, ovviamente, cosa si intende per riforma delle intercettazioni. Se si vuole devitalizzare uno strumento essenziale per combattere la criminalità non si troverà mai un accordo. Se, invece, si vuole intervenire limitando la diffusione dei contenuti, imporre motivazioni più stringenti per i provvedimenti che consentono le intercettazioni, o limitarne la durata, questo è fattibile.

Grillo ha dichiarato: «nessuno si azzardi a modificare la Giustizia insieme al partito capeggiato da un delinquente»

La sua è una scelta politica. Acquisisce consenso facendo leva sulla rabbia e il malcontento. Non è un problema di contenuti. Affermare: «Non possiamo fare la riforma della giustizia con un condannato» è tecnicamente una sciocchezza, dato che la riforma la fa il Parlamento. Dal punto di vista politico, però, è un messaggio forte.

 

(Paolo Nessi)