La dichiarazione del presidente Napolitano, dopo la conferma della condanna di Berlusconi da parte della Suprema Corte, ha toccato i seguenti punti: ha confermato la fiducia nei confronti di una magistratura che deve essere autonoma e indipendente, ha constatato un clima più sereno che in passato nell’attesa di un verdetto importante riguardante l’on. Berlusconi e ha auspicato che si creino le condizioni per una riforma complessiva della giustizia, nel solco delle indicazioni fornite dalla commissione dei saggi da lui istituita il 30 marzo scorso.
Diciamo subito che, se effettivamente il clima di attesa della sentenza della Cassazione è stato più disteso e rispettoso, ciò è stato in parte dovuto all’atteggiamento responsabile di Berlusconi che, fin dall’inizio, ha escluso ripercussioni sulla vita e sulla stabilità del Governo. Ciò, però, è ulteriore conferma di come l’azione della magistratura, da un ventennio, stia influenzando in modo anomalo la vita politica del Paese, bloccato in un perenne conflitto che ha di fatto vanificato ogni tentativo riformista. Non a caso la premessa dei “saggi” in tema di giustizia, richiamata da Napolitano, afferma che “I conflitti ricorrenti tra politica e giustizia si affrontano assicurando che ciascun potere (politico e giurisdizionale)…operi nel proprio ambito senza indebite interferenze in un quadro di reciproca indipendenza, di leale collaborazione, di comune responsabilità costituzionale”.
Tale affermazione, assolutamente condivisibile, per essere concretamente attuabile non può fondarsi meramente sulla buona volontà dei rispettivi protagonisti.
Fino al 1993, infatti, la reciproca indipendenza tra il potere politico e quello giudiziario era garantita dall’immunità parlamentare, prevista da un articolo della Costituzione abolito sull’onda emotiva di tangentopoli.
Difficile ipotizzare il ritorno ad un rispetto della reciproca autonomia tra due poteri in perenne conflitto da anni, senza ricorrere, in forma rinnovata e più aderente ai mutamenti intervenuti nel nostro assetto sociale, ad un istituto che faccia da «filtro» tra la funzione politica e quella giurisdizionale, garantendo ad entrambe la reciproca indipendenza.
Non solo: giustamente il presidente Napolitano ha sottolineato la fiducia nell’operato della magistratura. Si osserva però che, proprio per la citata influenza che le sue decisioni hanno nella vita politica e sociale del nostro Paese, non è più pensabile che il concetto di indipendenza e autonomia sia scollegato da quello di responsabilità. Il ruolo sempre più invasivo che hanno assunto le decisioni della magistratura nella nostra democrazia, infatti, impone che si pensi ad una forma di responsabilità dei giudici come avviene negli ordinamenti simili a quello italiano e ad una riforma del CSM e, in particolare dei processi disciplinari e dei criteri di avanzamento delle carriere, non più vincolati alle correnti associative interne alla magistratura stessa.
In tema di riforma della giustizia gli obiettivi indicati dalla commissione dei saggi sono tutti condivisibili e auspicabili: si tratta ovviamente di indicazioni generali, il cui vero dibattito si aprirà sull’attuazione concreta degli stessi. Certamente il primo punto, riguardante la ragionevole durata dei processi, sia penali sia civili, è oggi una necessità particolarmente avvertita, sia in tema di riconoscimento dei diritti lesi, sia perchè il nostro sistema economico è negativamente influenzato dal primato italiano della lungaggine dei processi. In campo penale occorrerà intervenire depenalizzando tutta una serie di reati minori, togliendo istituti processuali inutili (come l’udienza preliminare) e imponendo ai P.M. l’esercizio dell’azione penale entro un termine a pena di decadenza, se non addirittura mettere in discussione l’istituto dell’obbligatorietà dell’azione penale: sono solo alcuni spunti di possibile intervento. Nel campo civile bisognerà favorire gli istituti conciliativi e sviluppare a livello nazionale le iniziative virtuose di alcuni Fori, come quello di Milano, dove il processo telematico sta rivoluzionando i tempi della giustizia civile. Impensabile, infine, una riforma complessiva della giustizia, senza una decisione politica condivisa non solo nel merito ma anche nelle risorse: la giustizia negli ultimi anni ha ricevuto sempre meno finanziamenti dal bilancio dello Stato e i pochi destinati sono stati spesi male. E’ evidente che la crisi ha inciso pesantemente anche nel settore giustizia e ciò permette di concludere con un’osservazione finale. Sicuramente la riforma dell’amministrazione della giustizia è necessaria e da decenni si sono perdute innumerevoli occasioni per avviarla in modo serio: tuttavia, per la situazione di gravissima crisi che stiamo attraversando, in questo momento il nostro Paese ha altre priorità. C’è un’economia che deve ripartire, un livello occupazionale preoccupante, un’imposizione fiscale insopportabile e il Governo deve adottare misure e riforme che permettano ai cittadini di ricominciare a guardare al futuro con speranza ed ottimismo: se l’economia del Paese si rimette in moto, come tutti auspichiamo nel più breve tempo possibile, anche la riforma della giustizia potrà essere affrontata in un clima di serena ricostruzione.