Un dato è certo: la vita del governo Letta è sempre più appesa a un filo. E questo filo si aggroviglia insidiosamente intorno al Quirinale. Alla fase della reazione rabbiosa, propria delle prime ore immediatamente successive alla sentenza della Cassazione, è subentrata la fase delle difficili mosse destinate a garantire una qualche forma di ruolo politico a Silvio Berlusconi. La rassicurazione venuta dallo stesso Cavaliere di non voler staccare la spina al governo di Enrico Letta rappresenta solo una rassicurazione momentanea, anche se tanto Palazzo Chigi, quanto il Quirinale si sono affrettati a manifestare apprezzamento. Il Pd, tanto per fare un esempio, non si fida. E dentro lo stesso Pdl le idee non sono affatto chiare.
In questa vicenda bisogna partire ricercando i punti fermi. Il primo, reso chiaro dal discorso emozionale dell’ex premier alla manifestazione di domenica a via del Plebiscito, è che Berlusconi non intende fare la fine di Craxi. Non farà l’esule, non abbandonerà la politica. “Non mollo”, ha scandito dal palco, ma la condizione di condannato ai domiciliari lo limiterebbe fortemente quanto a possibilità di guidare il centrodestra.
Il secondo punto fermo è che cercherà in ogni modo di mantenere un’agibilità, seppur menomata. Per ottenerla nessuna strada rimarrà intentata: dal ricorso alla Corte Europea dei diritti umani, sino a una qualche forma di trattativa per ottenere un provvedimento di clemenza dal parte di Giorgio Napolitano. Certo, i toni sguaiati dei primi momenti (“o grazia, o crisi di governo”) sono stati archiviati in tutta fretta, sia perché avrebbero costretto il Quirinale ad irrigidirsi, sia perché diventa oggettivamente difficile chiedere la grazia per un soggetto imputato in altri processi, destinati ad arrivare a sentenza definitiva nel prossimo futuro. Ecco perché i toni dei capigruppo Pdl Schifani e Brunetta nello studio del Capo dello Stato sono stati decisamente più soft di quanto si potesse immaginare alla vigilia.
Certo, il tema della agibilità politica da consentire a Berlusconi è stato posto, come si desume dalla forbita formula quirinalese, secondo cui Schifani e Brunetta hanno esposto al presidente ” le loro valutazioni circa le esigenze da soddisfare per un ulteriore consolidamento dell’evoluzione positiva del quadro politico in Italia e uno sviluppo della stabilità utile all’azione di governo”. Ma che il fuoco covi sotto la cenere lo rende evidente la dichiarazione di Daniela Santanchè, secondo cui Berlusconi potrebbe rifiutare domiciliari e affidamento ai servizi sociali, chiedendo di andare in carcere. Tutto questo, evidentemente, nel caso del fallimento di tutte le trattative.
Ora il Quirinale si prenderà tutto il tempo necessario per valutare la situazione, e mai fu tanto benedetto il “generale agosto”, capace di dilatare i tempi, ma anche di consentire di valutare (da parte di Napolitano) il comportamento dei vari attori di questa intricatissima situazione.



Il presidente della Repubblica intende verificare se alle parole seguiranno i fatti, se cioè il Pdl continuerà davvero a sostenere convintamente e lealmente il governo Letta. Ma anche Pd e Pdl avranno l’opportunità di studiarsi fra di loro. La diffidenza è infatti alle stelle e il timore del Quirinale è che si possa scatenare una sorta di guerra del cerino, ad addossarsi la responsabilità di una rottura che precipiterebbe il paese alle elezioni. 
Il ritorno al voto costituisce lo scenario più temuto da Napolitano, e per esorcizzarlo Enrico Letta va ripetendo da giorni che non si farà logorare e che non è intenzionato a rimanere a Palazzo Chigi a tutti i costi e che prima di tutto va scritta una nuova legge elettorale. Del resto, tanto il Pd quanto il Pdl non sono affatto pronti al voto. I democratici non riescono né a decidere la data del congresso, né le regole per le candidature e rischiano di spaccarsi, in caso di voto anticipato in autunno, fra i sostenitori di Renzi e quelli di Letta.
Il Pdl forse è ancor più in difficoltà. Mancano, su questa barricata, tanto il partito (destinato a ri-trasformarsi in Forza Italia, non senza mal di pancia interni), quanto è soprattutto il leader considerando che assai difficilmente Berlusconi potrebbe trovare un escamotage per presentare per la settima volta la sua candidatura a Palazzo Chigi. Da qui la voce ogni giorno più insistente di un altro Berlusconi in campo: Marina al posto del padre. Va verificato però se il carisma innegabile di un leader che, nel bene o nel male, ha segnato la Seconda Repubblica sia trasmissibile per via dinastica. Ma per una fetta non trascurabile del Popolo della Libertà l’ipotesi Marina è tutt’altro che peregrina, mentre non vengono per nulla prese in considerazione ipotesi alternative, di una rifondazione completa dell’area dei moderati. Una ipotesi che, però farebbe forse maggiormente l’interesse del paese.

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