E all’improvviso, nel giorno fatidico del dibattito sulla decadenza di Berlusconi le parti finirono per invertirsi. Non è più il Pd ad aver fretta, è – nei fatti – il Pdl, con il risultato di lasciare i temporanei alleati di governo con il cerino in mano. Il cerino del casus belli perfetto per aprire la crisi di governo.
Dicono i suoi fedelissimi che Berlusconi non abbia preso ancora la decisione finale, quella di staccare la spina al governo Letta, ma tutti i segnali fanno pensare che l’orientamento prevalente vada oggi in questa direzione. Il primo segnale è il documento preparato dal relatore Andrea Augello. Non si tratta di una relazione vera e propria, non conclude a favore o contro l’ipotesi di decadenza dal seggio senatoriale: pone una serie di questioni pregiudiziali tali da costringere i democratici a scoprire le loro carte subito, perché respingere la richiesta di ricorrere alla Corte costituzionale, oppure – novità assoluta – alla corte di Giustizia dell’Unione Europea equivale a non lasciare a Silvio Berlusconi alcuna via di scampo. Il secondo indizio completa i primo: l’assenza di comportamenti ostruzionistici in giunta.
Ma poiché, secondo Agata Christie, un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova, il terzo indizio nel giallo berlusconiano è la convocazione per mercoledì a ora di pranzo dell’assemblea dei parlamentari pidiellini, in cui è annunciata la presenza dello stesso Cavaliere. Una tempistica perfetta per rompere, approfittando della finestra elettorale dell’autunno, che è destinata a chiudersi presto, ai primi di ottobre.
In questo scenario Berlusconi potrebbe approfittare del fatto che la incandidabilità non sarà ancora scattata, poiché la Corte d’appello di Milano si riunirà solo il 19 ottobre per ridefinire la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, una decisione che sarà poi appellabile in Cassazione, facendo scivolare la decisione finale a dopo la possibile data del voto. E un Cavaliere rilegittimato dal voto di milioni di cittadini sarebbe ancora più difficile da allontanare dalla politica. E non va sottovalutato il fatto che il Pd non avrà ancora chiuso la corsa per la sua leadership, e la candidatura di Matteo Renzi potrebbe essere meno forte di quanto non sarebbe a primavera, completato il percorso congressuale.
Dopo tre giorni di relativa calma, tornano dunque a spirare forti i venti di crisi. E il Pd sembra essersi fatto cogliere impreparato dall’imprevista mossa delle truppe berlusconiane. Una sorpresa evidente nelle parole stizzite dei commissari democratici all’uscita dal tour de force di sant’Ivo alla Sapienza, tutte tese ad additare Augello come autore di una scorrettezza regolamentare grave: l’aver posto questioni pregiudiziali, appunto, al posto di conclusioni pro o contro la decadenza di Berlusconi dal Senato.
Adesso i democratici non hanno via di scampo: votando contro le questioni poste da Augello di fatto voteranno subito a favore della decadenza di Berlusconi, senza però che questo sia effettivamente avvenuto. Chi è riuscito a parlare con il leader del Pdl nelle ultime ore lo descrive come furioso con i democratici, e le parole di Schifani, concordate virgola per virgola con Arcore, lo confermano: “Se i democratici votano contro le pregiudiziali non credo che si potrebbe più parlare di maggioranza a sostegno del governo”.
Si tratta di una sorta di ultima chiamata rivolta al Quirinale e a Palazzo Chigi, per chiedere un intervento autorevole e forte in nome della stabilità di governo. Ma tanto Napolitano quanto Enrico Letta hanno le mani legate e non possono fare molto, almeno in questa fase. Il rischio che – in questo clima – l’assemblea di mercoledì si trasformi in una sorta di dichiarazione di guerra all’esecutivo è molto alto, anche se non si possono escludere a quel punto mosse a sorpresa, soprattutto del Quirinale, dove si starebbe pensando a un messaggio televisivo alla nazione in caso di crisi aperta dal Pdl.
L’eterna lotta dentro il Pdl fra falchi e colombe conosce quindi un inaspettato sorpasso dell’ala dura sui moderati. Spegnere questi focolai d’incendio per il Capo dello Stato diventa di ora in ora più difficile.