Silvio Berlusconi ha commesso errori e ha gravi responsabilità, ma il modo in cui il Pd pensa di farlo escludere dal Senato rischia di provocare un avvelenamento del governo e della scena istituzionale che non assicura una vittoria scontata. Secondo il vertice Pd – da Epifani a Renzi – non è una scelta politica, ma un “atto dovuto”, un fatto di rispetto della legge e bisogna quindi scindere la vicenda personale dallo scenario politico.
A contraddire tale impostazione ci sono però due fatti. In primo luogo le leggi vigenti (approvate anche dal Pd) escludono categoricamente, in casi analoghi, la retroattività. Infatti in esplicita attuazione della “legge Severino” il governo ha approvato il decreto legislativo “in materia di incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni” (ad esempio i consigli di amministrazione delle società pubbliche) e nella legge di conversione che è entrata proprio recentemente in vigore (il 21 agosto) si precisa (art. 29-ter) che “in sede di prima applicazione (…) gli incarichi conferiti prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo (…) non hanno effetto come causa di incompatibilità fino alla scadenza già stabilita per i medesimi incarichi”.
In secondo luogo persino il capo dello Stato (peraltro quotidianamente attaccato dai “fedelissimi” del Cavaliere) a distanza di poco tempo è intervenuto con testi pubblici per ben due volte (subito dopo la sentenza e poi alla vigilia della riunione della Commissione) indicando la estrema drammaticità delle conseguenze che potrebbero derivare. Anzi tre volte, se si tiene conto che il Quirinale ha autorizzato la versione secondo cui Giorgio Napolitano ha apprezzato il “lodo Violante”. Si tratta di un’evidente preoccupazione rivolta a sedare le spinte centrifughe e destabilizzanti senza smentire né confliggere con le sentenze e le leggi.
In che cosa consiste il timore (non solo del Quirinale)? Essenzialmente due dati sono sotto gli occhi di tutti. Il primo è che l’Italia non è solo vittima di una crisi economica internazionale senza precedenti, ma è l’unico paese del G8 ad essere in recessione. Il secondo motivo di apprensione è che in un sistema maggioritario in cui si fronteggiano due schieramenti, i principali partiti antagonisti appaiono in queste settimane privi di gruppi dirigenti stabilmente in sella e sembrano muoversi in preda a emotività e superficialità senza tener conto del bene comune.
Il Pdl si sta trasformando in una nuova formazione, la rinata “Forza Italia”, e non si sa ancora bene chi sarà alla guida. Allo stato attuale le decisioni politiche sono nelle mani di un “vertice di famiglia e d’azienda”.
Nel Pd l’attuale vertice si muove in modo nervoso e insicuro, alla vigilia di essere spazzato via da una nuova leadership che sfiora circa l’80 per cento dei consensi interni. L’avanzare di Renzi è la conseguenza del dissolvimento del gruppo dirigente dagli ex Pci-Ds oggi in ordine sparso e cioè del fallimento di tre leadership − D’Alema nel 1998, Veltroni nel 2008 e Bersani nel 2013 − coronate da tre “resurrezioni” di Berlusconi.
Anche vent’anni or sono l’uscita di scena dell’avversario per via giudiziaria prometteva una partita elettorale “a porta vuota”. Come all’epoca Achille Occhetto, oggi Matteo Renzi si presenta alla guida di una “gioiosa macchina da guerra”. L’antiberlusconismo ha però lo stesso difetto della “questione morale”: da un lato colpire “ad personam” e dall’altro mancare di un’analisi seria della crisi economica. La crisi italiana è la grande assente nell’attuale dibattito. Le cause della perdurante recessione sono del tutto ignorate. La “rottamazione” viene delineata come una formula salvifica e si parla di rilancio dell’economia e dell’occupazione come se le casse dello Stato fossero facilmente rimpinguabili: i soldi dei “ricchi” e degli “evasori”. Intanto tasse. Discorsi da “vecchia sinistra” che vedeva le crisi del capitalismo come belle occasioni per nuovi equilibri di potere e di redistribuzione del reddito.
In realtà Berlusconi dal 1994 non ha avuto consensi perché ha diabolicamente ipnotizzato gli italiani, ma perché la sinistra è apparsa incapace di una soluzione di continuità con letture classiste e assistenziali a cui ha aggiunto una aggressività illiberale nel ricorrere alle vie giudiziarie che non sono apparse rispettose del diritto e della verità. La “gioiosa macchina da guerra” sull’onda delle sentenze è già stata in passato un insuccesso, è oggi un film già visto e, soprattutto, si presenta alludendo alla grave crisi economica in modo molto generico e superficiale.