Neanche questa assemblea del Pd è stata risolutiva circa i nodi da sciogliere, salvo sancire – questo sì, definitivamente – quanto la confusione regni sovrana. Sono state approvate le regole per il congresso, che si dovrebbe celebrarsi l’8 dicembre, ma un blitz di alcune fazioni astensioniste (bindiani, weltroniani, Civati) ha fatto mancare il numero legale per modificare lo statuto. Frattanto, sui media, campeggia quasi esclusivamente l’intervento di Renzi, che ha pressoché oscurato tutti gli altri. Il sindaco di Firenze ha fatto autocritica («non siamo più il partito dei lavoratori»), ha auspicato che il Pd guadagni il consenso necessario per governare da solo, e ha attaccato Letta parlando di «quelli che danno sempre la colpa agli altri». Come il premier, appunto, «che imputa all’instabilità politica lo sforamento del 3% del rapporto deficit/ pil». Che sta succedendo? Lo abbiamo chiesto a Peppino Caldarola, giornalista e scrittore. 



Come giudica il caos sulle regole?

Basta guardare ai numeri per rendersi conto delle condizioni in cui versa il partito: gli iscritti si sono praticamente dimezzati; durante l’assemblea, invece, è venuto a mancare il numero legale. Ciò significa che gran parte del gruppo dirigente ritiene di non dover partecipare alla vita del partito, tantomeno al suo momento principale. Costoro, alla vigilia del congresso, mostrano di non credere al congresso stesso.



Perché no?

Non percepiscono nient’altro che un gioco estenuante attorno alle regole e non sono, fondamentalmente, entusiasti di nessuno dei candidati.

Come giudica il non-automatismo tra leadership e premiership, fondamentalmente l’unica regola emersa dal dibattito?

Per molti aspetti, è ridicola. E’ovvio che se il segretario viene eletto oggi, ma si vota tra due nani, è legittimo indire nuove primarie per verificare se goda ancora dello stesso consenso. Ma se si vota nell’arco di un anno, è impensabile che il segretario non sia anche il candidato premier.

Perché, secondo lei, è stata fatta?



Per tenere la porta aperta ad un’eventuale candidatura di Enrico Letta. Se fosse lui stesso a staccare la spina al proprio governo, perderebbe la patina dell’uomo del compromesso con Berlusconi, diventandone il primo avversario e, di conseguenza, il primo concorrente di Renzi.

Renzi, dal canto suo, continua ad attaccare il premier.

La verità è che siamo passati dal dualismo D’Alema-Veltroni, a quello Letta-Renzi. La cosa buffa è che mentre il dualismo tra gli ex comunisti puntava al primato dell’opposizione, quello tra gli ex democristiani punta al primato di governo. Il vero avversario di Renzi, dunque, non è Cuperlo né Civati, ma il premier. E’ un uomo di governo, rassicura l’establishment economico, e ha una forza di attrazione su parte del mondo elettorale del Pd. L’antagonismo tra i due è destinato a durare a prescindere dalle eventuali battaglie congressuali o dalle prossime primarie. Si tratta di due opzioni che, nel medio periodo, potrebbero connotare due partiti diversi.

Cosa intende?

Renzi, pur proclamando l’interesse al dialogo con il mondo di centrodestra, si sta collocando su una linea radical. Letta è il classico candidato di un elettorato centrista. Attualmente, non sappiamo quanto reggerà l’aggregato elettorale di Berlusconi. Ma laddove avvenisse uno smottamento – non di certo nei prossimi mesi, ma nei prossimi anni – il mondo politico italiano potrebbe essere disegnato. E, Letta e Renzi, resterebbero destinati a competere.

 

Al di là di tutta la retorica sui contenuti, sul programma, su rinnovamento, durante l’assemblea tutto si è ridotto alla dialettica tra chi è pro e contro Renzi.

Effettivamente, è così. Cuperlo ha fatto un discorso retoricamente interessante, impregnato di richiami ai valori, ma senza dare alcuna spiegazione di quello che è accaduto in questi anni; Pittella ha invocato una coerenza europea; Civati ha giocato il ruolo del terzo incomodo; Renzi, infine, ha cercato di dare una scossa al partito, facendo presente che negli ultimi anni, non ha mai vinto: insomma, da nessuno è emerso un’asse attorno alla quale costruire una proposta politica.

 

Chi rappresenta Pittella?

E’ il candidato che chiede l’ingresso del Pd nella struttura socialista europea. Peccato che tale struttura si stia mettendo in discussione da sé. Insomma, non è del tutto sincronizzato con i tempi europei.

 

E Civati?

Vuole rappresentare a sinistra quello che Renzi rappresenta sul fronte opposto. Raccoglie  lo scontento del’anima più movimentista del Pd, affermando che gli interlocutori sono Vendola e Grillo.

 

Cuperlo, infine, viene dipinto come l’espressione dell’establishment?

Il personaggio va distinto da chi lo promuove. Purtroppo per lui, è sostenuto dalla vecchia dirigenza. Primo tra tutti dall’ultrasconfitto Bersani. 

 

(Paolo Nessi)