L’assemblea del Pd di sabato ha confermato la propensione del partito all’autolesionismo. L’unica certezza prodotta dal vertice è che il congresso si terrà l’8 dicembre. Per il resto, l’accordo sulle nuove regole è stato svilito da un massiccio numero di delegati che hanno fatto mancare il numero legale per modificare lo statuto. Un pasticcio. L’ennesima brutta figura. Mario Adinolfi, blogger, giornalista ed esponente del Pd, ci dice cosa ne pensa di quanto accaduto.



Sulle regole c’è stato effettivamente il caos, come hanno detto i media, o l’episodio è stato più circoscritto?

No, no… è stato proprio il caos! Guardi, la verità l’ha detta Civati, parlando di “follia totale”. E’ questa la chiave interpretativa corretta.

Una follia dipesa da cosa?

Il blocco di potere tradizionale del Pd, formato da Bersani, Letta, ed Epifani (nonostante le apparenze, Bersani conta ancora parecchio: gli equilibri della direzione nazionale, le tessere e il numero di delegati, sono sbilanciati fortemente in suo favore) cerca di prendere tempo. Attende la famosa “pistolettata di Sarajevo”. Aspetta, cioè, l’incidente che faccia precipitare gli eventi verso le elezioni. Può essere rappresentato dalla decadenza senatoriale di Berlusconi, dalla sentenza della Corte d’Appello che gli comminerà la pena accessoria o dalle minacce di dimissioni di Saccomanni legate all’aumento dell’Iva, solo per citarne alcuni. C’è solo l’imbarazzo della scelta.



Non crede che Letta voglia tenersi stretto il governo?

Letta, al contrario di quello che si pensa, non ha particolare interesse a continuare a preservare questo equilibrio di governo.

No?

Sa che se le elezioni si tenessero in primavera, le carte, nel Pd, le continuerebbero a distribuire i dirigenti attuali. Se cadesse il governo, infatti, il congresso sarebbe rinviato.

E così, il candidato premier del Pd resterebbe Letta.

No, non è tanto un problema di candidatura a Palazzo Chigi. A Bersani, Epifani, Franceschini, e allo stesso Letta, potrebbe anche andare bene che Renzi fosse il candidato alla presidenza del Consiglio. Sono ben consapevoli, però, del fatto che se prendesse in mano le redini del partito, diventandone segretario, sarebbe automaticamente e inesorabilmente proiettato verso la premiership. La sua avanzata sarebbe duplice, diventerebbe inarrestabile.



Cioè?

Con in mano sia il partito che la presidenza del Consiglio, potrebbe facilmente permettersi di azzerare questo gruppo dirigente. Prendere tempo, quindi, è una tattica finalizzata a far sì che Renzi, anche laddove sia il candidato premier del Pd, debba pur sempre fare i conti con l’establishment. Insomma, vogliono condizionarlo, obbligarlo a trattare. Vogliono, in sostanza, un Renzi simile a Prodi. Che vince le elezioni, ma è costretto a subire l’influenza del partito.

 

Letta, se non fa il premier, cosa fa?

Letta lo conosco da più di 20 anni: è persona intelligente e realistica. Il suo problema non è fare il premier un anno in più. Ma restare sulla scena politica per altri 25. Poco importa se da presidente della Camera, da commissario europeo, o da segretario del Pd al posto di Renzi.

 

Cuperlo, Civati e Pittella, infine, quante chance hanno di affermarsi o di condizionare significativamente il dibattito?

Diciamo che agli Oscar sarebbero stati candidati nella categoria “attori non protagonisti”…

 

(Paolo Nessi