Tanto tuonò che piovve. Ma questa volta siamo di fronte più che a un temporale estivo ad un nubifragio. La decisione della direzione regionale siciliana del Partito Democratico di togliere il sostegno alla Giunta Crocetta dovrebbe, a rigor di logica, (ma c’è una logica nella politica odierna?) provocarne la sua caduta. E’ impensabile, numeri alla mano, che in Assemblea regionale si possano trovare 18 deputati che sostituiscano quelli del Pd e consentire raggiungere quota 46, quella necessaria per formare una maggioranza.
Ma Crocetta ha già provato a tranquillizzare tutti affermando: “Io non sono tipo da ribaltini. Sono molto coerente e disponibile anche alle conseguenze più estreme. Io porto gli atti. Se vanno bene li votino. Il Governo prosegue la sua azione, io sono stato eletto direttamente dai cittadini”. Ma per quanto Crocetta sia riuscito a innovare anche le più basilari regole della politica e dell’amministrazione, sconfinando spesso nel campo dell’illegalità, vi è pur sempre una dato oggettivo con cui deve fare i conti: i numeri in Parlamento regionale. Tutti gli scenari che si possono ipotizzare hanno dose di rischio elevatissimi.
Primo: accettare il rimpasto preteso dal Pd significherebbe rinunciare a gran parte dell’autonomia di cui lui ha goduto finora, sarebbe quasi chiedergli una mutazione del suo Dna e porterebbe alla definitiva frantumazione di quel famoso “cerchio magico” di cui ancora attendiamo le meraviglie.
Secondo: cambiare maggioranza comporterebbe una apertura verso i grillini il cui capogruppo Giancarlo Cancellieri si è subito precipitato a dire che “la vera notizia è che il Pd ha rotto. E ha rotto anche Crocetta e questo governo dell’immobilismo”. E annuncia una mozione di sfiducia che sarà presentata all’Ars in ottobre. Non bisogna scordare che proprio il Movimento Cinque Stelle aveva posto, già prima delle vacanze estive, una sorta di ultimatum a Crocetta per chiedere di accelerare l’approvazione di molte leggi. E tutto ciò non solo non è avvenuto, ma non ci sono nemmeno segni che possa accadere.
Terzo: navigare a vista e cercare volta per volta il consenso tra i deputati. Ma questa ipotesi richiede comunque uno zoccolo duro di onorevoli in aula su cui poter contare, cosa che oggi non esiste più. A questo punto bisognerebbe parlare di quell’araba fenice costituita dell’opposizione. Possiamo solo registrare dichiarazioni, ma nessun segno reale dell’esistenza in vita di un organismo politico degno di questo nome. “Non so – ha detto Nello Musumeci, leader de La Destra – se si debba credere alla volontà del Pd di uscire dal governo. Crocetta farebbe bene a procedere a una verifica per sapere se c’è ancora una maggioranza tra chi lo ha voluto candidato pronta a sostenerlo”.
Il Pdl nella solita conferenza stampa, in mancanza di organi di partito in grado di deliberare, ha riaffermato la scelta di continuare a stare all’opposizione. Questi i fatti. Poi ci sono le opinioni. Il popolo della rete filo crocettiana teme un arretramento del nuovo stile inaugurato dal governatore siciliano in cui le denunce alla magistratura sono divenute più importanti degli atti amministrativi. Merita a tal proposito riportare una denuncia proprio di lunedì mattina del procuratore aggiunto di Palermo, Leonardo Agueci, il magistrato che coordina le indagini sulla pubblica amministrazione, che a margine di un convegno ha affermato: “E’ successo che a volte ci si sente apposto mandando le carte in Procura, a volte può essere un alibi per forme di poca efficienza e irresponsabilità, anche se questi sono profili che ci interessano fino a un certo punto”.
Il popolo della rete filo Pd, plaude e vagheggia un ritorno ad un passato, di cui non ha più memoria, in cui il partito sapeva farsi valere e valeva la pena appartenere ad un partito come il Pd. Poi c’è il popolo, quello vero, quello che non ha tempo per scrivere ai giornali on line perché impegnato a lavorare e a gestire una vita familiare sempre più dura, a causa di una crisi che non accenna a diminuire. Quello che magari ha votato Crocetta e dopo quasi un anno è ancora in attesa dei segni concreti di cambiamento promessi ma non realizzati. Quello che comincia a supporre che si stava meglio quando si stava peggio perché comunque alcune certezze, a cominciare dal poco lavoro, non te le toglieva nessuno. Il popolo che ha perso la speranza nel cambiamento. A questo popolo (e soprattutto ai suoi governati) papa Francesco domenica da Cagliari ha aperto il cuore alla speranza. “Non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciatevi rubare la speranza! Forse la speranza è come le braci sotto la cenere; aiutiamoci con la solidarietà, soffiando sulle ceneri, perché il fuoco venga un’altra volta. Ma la speranza ci porta avanti. Ma la speranza non è di uno, la speranza la facciamo tutti! La speranza dobbiamo sostenerla fra tutti, tutti voi e tutti noi che siamo lontani. La speranza è una cosa vostra e nostra. E’ cosa di tutti! Per questo vi dico: Non lasciatevi rubare la speranza!”.
Vogliamo augurarci che i politici siciliani abbiano trovato o trovino il tempo per soffermarsi su queste parole per comprendere la responsabilità che ne deriva anche per loro.