La riunione di deputati e senatori del Popolo della Libertà a Montecitorio ha approvato per acclamazione le dimissioni di tutti i parlamentari. Ciascuno le ha consegnate ai capigruppo, i quali le hanno congelate fino a quando ci sarà una decisione definitiva sulla decadenza di Berlusconi. “È in corso un’operazione eversiva che sovverte lo stato di diritto ad opera di Magistratura democratica – le parole di Berlusconi -. Essere buttato fuori dalla storia per un’accusa così ingiusta e infamante non mi ha fatto dormire per 55 giorni. Questa mattina mi sono pesato e ho scoperto di aver perso 11 chili: uno per ogni anno di condanna, 4 per Mediaset e 7 del processo Ruby”. Per Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte costituzionale e professore di Diritto costituzionale alla Pontificia Università Lateranense di Roma, “le dimissioni in massa dal parlamento non sono gravemente censurabili soltanto se il Paese è davvero in pericolo, e questo è l’unico atto che consente di salvaguardare la democrazia”.



Le dimissioni in massa dei parlamentari del Pdl sarebbero ammissibili dal punto di vista costituzionale?

Vorrei fare una considerazione preliminare di fondo. Ciascun membro del Parlamento rappresenta la nazione, e quindi il suo non è solamente un potere ma un dovere e un onere. La nostra Costituzione prevede che i cittadini che svolgono funzioni pubbliche abbiano il dovere di adempierle con disciplina e onore. Non è nell’assoluta disponibilità lo stesso esercizio della funzione. Non vedo quindi come sia possibile e si giustifichi un atto di questo tipo, che rappresenta in qualche modo una rottura delle istituzioni, a meno che non sia in gioco la stessa salute della Repubblica. Dimissioni in massa dal Parlamento non sono gravemente censurabili soltanto se il Paese è davvero in pericolo e quello è l’unico atto che consente di salvaguardare la democrazia. Si tratta di una mera ipotesi che dal punto di vista pratico non è concretamente immaginabile. La questione di base è che c’è un dovere di esercizio delle funzioni.



In ogni caso, a quel punto Napolitano sarebbe costretto a sciogliere le camere?

Le dimissioni sono effettivamente un atto politico per costringere il presidente della Repubblica allo scioglimento delle Camere. Ciò pone un altro elemento di contrasto, cioè di valutazione costituzionale. In pratica non impedisce l’atto, ma rientra nell’ambito della valutazione di ciò che può o meno verificarsi. Lo scioglimento è un atto del Presidente della Repubblica il quale non può essere costretto in nessun modo. Indire nuove elezioni deve essere il frutto di una valutazione politico-istituzionale sull’impossibilità delle Camere di funzionare. Anche sotto questo profilo le dimissioni in massa sono un atto che non trovano una linearità costituzionale. Si tratta di situazioni estreme che potrebbero avere un’ipotesi di fondo di salvaguardia delle istituzioni quando sono davvero in pericolo, e c’è una situazione di una gravità tale che richiede un gesto altissimo di rottura. Questo sarebbe di fatto un gesto di rottura delle istituzioni.



 

Una volta presentate, le dimissioni entrerebbero in vigore automaticamente?

Dal punto di vista dell’operatività le dimissioni devono essere votate e accettate dalla Camera di appartenenza. Ci sarebbe quindi un dibattito e le dimissioni sarebbero probabilmente respinte perché non c’è una maggioranza per accettarle. Se al contrario le dimissioni fossero accettate, in realtà sarebbe l’intera assemblea a chiedere lo scioglimento al presidente per l’impossibilità di funzionare. Mentre dal punto di vista formale, quando le dimissioni diventano operative dovrebbero subentrare i primi dei non eletti di ciascun partito.

 

Che cosa accadrebbe invece se a dimettersi fossero i ministri?

Il governo entrerebbe in crisi e il presidente della Repubblica accerterebbe se c’è una maggioranza parlamentare per un nuovo governo. Napolitano potrebbe quindi o rinviare il governo alle Camere o accettare le dimissioni del presidente del consigli, se quest’ultimo ritenesse di non avere più l’impostazione della coalizione data al suo governo.

 

(Pietro Vernizzi)