Con il comunicato di oggi 26 settembre 2013, seguito all'”annuncio di dimissioni di massa” dei parlamentari del Pdl, il presidente Napolitano, ancora una volta, fa fronte alla missione, che per Costituzione gli spetta, di garante del funzionamento corretto ed effettivo delle istituzioni repubblicane, come tale preoccupato di comportamenti politici volti a “colpire alla radice la funzionalità delle Camere”.
Il Presidente si limita, per il momento, a sottolineare la “gravità ed assurdità dell’evocare un colpo di stato” o una “operazione eversiva” per la “condanna definitiva” di Silvio Berlusconi, invitando a non mettere in gioco “il pieno svolgimento delle funzioni dei due rami del Parlamento”. Il resto che va fatto, per uscire dalla strettoia politica e costituzionale, è auspicabile venga fatto dalle forze politiche che siedono in Parlamento, senza che il Presidente sia costretto ad ulteriori passi.
I primi a riflettere dovrebbero essere gli stessi esponenti del Pdl. Poiché, come ricorda anche il Presidente Napolitano, rientra nella normalità dello “Stato di diritto” che sentenze di condanna, pur discusse e magari discutibili per come indicano “fatti specifici di violazione di legge”, debbano ad un certo punto divenire “definitive”, e quindi non siano impugnabili all’infinito. È una necessità, in qualunque sistema giudiziario degno di questo nome, che il contraddittorio in cui si esercita il diritto alla difesa abbia una conclusione, portando ad una decisione non più rimuovibile del caso concreto; perché, se non ci fosse questo, non ci sarebbe più neppure una reale tutela. Quello che sta accadendo a Silvio Berlusconi non è differente da quello che è accaduto e quotidianamente accade, prima di lui, a tanti cittadini comuni, convinti di avere ragione e messi in torto dal pronunciamento finale del giudice.
Né, in questo frangente, è messa seriamente in questione la sorte della persona. Silvio Berlusconi non rischia lunghe ed umilianti carcerazioni, e tantomeno di essere bandito da un dibattito pubblico a cui conserverebbe comunque tutti gli strumenti per partecipare, ma rischia soltanto di non poter continuare a sedere sullo scranno parlamentare. Non è in questione null’altro che accettare gli effetti di un pronunciamento giudiziario che per Silvio Berlusconi, uomo importante, ricco e potente, sono più sopportabili che per altri.
I parlamentari del Pdl, prima di praticare le “dimissioni di massa”, dovrebbero quindi interrogarsi sul significato di un simile gesto. Non ci sono danni irreparabili da cui salvare Silvio Berlusconi come persona, e non c’è da preservare la sua azione politica che, anche nella peggiore delle ipotesi, potrebbe proseguire tranquillamente in mille e più modi.
L’unico significato delle “dimissioni di massa” si ridurrebbe al rivendicare l’impunità del leader politico, per cui si pretenderebbe una posizione al di sopra della legge, ed al testimoniare l’insostituibilità di Silvio Berlusconi per la compagine politica da lui guidata, addirittura incapace di fare a meno del suo apporto in sede parlamentare. Non si vede, davvero, in cosa le “dimissioni di massa” dei parlamentari dovrebbero giovare al Pdl, e tantomeno ai suoi elettori.
Ma, per l’evenienza, a cui si stenta a credere, che la minaccia di “dimissioni di massa” di parte Pdl sia seria, anche il resto del Parlamento, senza eccezione per alcuno dei parlamentari e delle forze che concorrono a Camera e Senato, hanno da riflettere sulle parole del Presidente Napolitano.
In ciascuno dei due rami del Parlamento, i parlamentari del Pdl sono meno di cento (su, complessivamente, 315 senatori e 630 deputati). Anche ad immaginare che i parlamentari del Pdl si dimettano “in massa”, la Camera ed il Senato potrebbero, perciò, continuare a funzionare, espletando i propri compiti, purché, naturalmente, tutti gli altri loro componenti, e le forze politiche da essi rappresentate, agiscano al riguardo all’unisono. Non si tratterebbe di una situazione da prendere alla leggera, anzi si tratterebbe di un’autentica emergenza democratica. Tuttavia, e purtroppo, non sarebbe la prima volta che un’emergenza democratica si manifesta.
All’emergenza democratica, irragionevolmente e ad arte provocata, si può reagire con differenti modalità, dovendo le forze e gli esponenti politici di ogni orientamento e colore scegliere, comunque, tra la logica dell’allontanamento che può diventare diserzione, da un lato, e, dall’altro, il serrare le fila e superare le divisioni per garantire la legalità e la saldezza delle istituzioni repubblicane. Sarebbe un bel segnale se, da subito, le forze politiche ed i parlamentari si rendessero disponibili ad un impegno comune per impedire, come si può impedire, che possa andare a buon fine qualunque tentativo, da chiunque operato, di “colpire alla radice la funzionalità delle Camere” e, con essa, la Costituzione.