Cosa succederà ora dopo le dimissioni dei ministri del Pdl? Che scenari si aprono? Ci stiamo avvicinando alle elezioni? Qual è l’orientamento al voto degli italiani? E qual è lo stato di salute dei due maggiori partiti che sostengono il governo Letta? A che percentuali è il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo? Al suo rientro dagli Stati Uniti il premier Letta ha annunciato una verifica con i partiti di maggioranza: avrà ancora i voti per restare a Palazzo Chigi? Lo abbiamo chiesto al sondaggista Alessandro Amadori, fondatore e direttore dell’Istituto Coesis Research.



Amadori, cosa pensa dell’ultima mossa di Berlusconi?

Sono sorpreso, pensavo che Berlusconi  non intendsse realmente togliere l’appoggio al governo. Ha bisogno di tempo per riorganizzare il partito, o addirittura farne uno nuovo; per studiare una strategia, raccogliere nuove forze. Tra l’altro, per investire in un’impresa che è molto, molto più incerta del passato. Per questo Letta potrebbe proseguire per almeno un altro anno e in questo modo si avvicinerebbe al traguardo di metà legislatura. In più si avvicina il semestre europeo: nessuno ha interesse a figurare come il responsabile della crisi nel momento in cui siamo formalmente alla guida dell’Europa.



Eppure. Dalle vostre rilevazioni come risultano orientati gli italiani?

Gli italiani non sono dell’idea di andare a votare a breve. L’opinione pubblica è tutto sommato attendista. Dicono: abbiamo votato pochi mesi fa. Troppo poco. Oltretutto si tornerebbe a parlare degli stessi argomenti. L’italiano medio, onestamente, non sente il desiderio di andare al voto.

Che, per di più, sarebbe l’ennesimo referendum sulla figura di Berlusconi …

Esatto. In fondo il quadro politico non è cambiato da 6, 8 o anche 12 mesi a questa parte. Gli italiani chiedono di essere governati e il governo Letta ha trovato una sua cifra comunicativa. Certo la fiducia cala perché l’Italia sta subendo un processo di indebolimento strutturale. Che i cittadini percepiscono e vorrebbero che il governo facesse di più. Ma nonostante il calo di fiducia, il governo Letta sta tenendo bene e non produce gli attriti che creava il governo Monti.



Secondo lei Letta avrà ancora i numeri per governare?

Alla fine sì, dovrebbe trovarli. Oggi tutte le ricerche demoscopiche dicono che chi apre la crisi perde voti. Credo ci sia ancora spazio per una riflessione.

Perché Berlusconi ha deciso di fare l’affondo, ritirando i ministri?

Era necessario prendere iniziative clamorose. In raltà, a Berlusconi conviene che il governo Letta vada avanti. Il centrodestra questa volta corre il rischio dell’autocancellazione. Mi pare più probabile che alla fine si arrivi a un compromesso.

Quale sarebbe il nuovo ruolo di Berlusconi?


Dagli arresti domiciliari il leader del Pdl potrebbe guidare una sorta di ricostituzione delle forze, giocando sulle difficoltà crescenti cui andrà incontro il nostro Paese. La vendita di Telecom è un segnale. Tra un anno potremmo perdere anche l’industria automobilistica con la fusione Fiat-Chrysler a tutto vantaggio della casa americana. E potremmo perdere anche la siderurgia, come testimonia la vicenda dell’Ilva.

 

Cosa guadagnerebbe stando in quella posizione?

Potrebbe essere un vantaggio per Berlusconi trovarsi tra virgolette all’opposizione: sarebbe al governo ma nello stesso tempo pronto a contrapporsi all’asse reale che sarà l’asse Letta-Pd e non certo Letta-Pdl. Il paese si sta veramente indebolendo. In questo processo di rigenerazione Berlusconi potrebbe farsi latore del disagio degli italiani. Che altrimenti verrà convogliato su Grillo. Come è già successo a febbraio e come rischia di accadere se si andrà a votare a breve.

 

A che percentuale è oggi il M5S?

E’ di nuovo al 21%, dopo essere sceso al 16-17%, dal 25% di febbraio. Aveva perso quasi 10 punti. Gli ultimi sondaggi lo danno invece in risalita. Ed è comprensibile che se si andrà al voto, Grillo tornerà a fare il pieno. E a questo punto gli italiani avrebbero ragione a votarlo.

 

Perché?

Se due schieramenti – centrodestra e centrosinistra – che oggi sono alla pari e che insieme fanno quasi il 70% del consenso non riescono a trovare soluzioni per rilanciare l’Italia vuol dire che c’è qualcosa che non va nei grandi partiti tradizionali.