Evidentemente Silvio Berlusconi sta preparando un clamoroso colpo di scena che darà finalmente un senso ed uno sbocco alle sue ultime mosse. Le spiegazioni ufficiali fornite in proposito non sono infatti minimamente convincenti.

1. Le “dimissioni di massa” per indurre il Pd ad un ripensamento in extremis nel voto sulla decadenza? Anche un bambino avrebbe previsto l’effetto opposto e cioè un automatico compattamento ostile ed un contro-ultimatum di Letta.



2. Le dimissioni dei ministri per l’aumento dell’Iva negando qualsiasi rapporto con le questioni giudiziarie? Con una decisione presa all’insaputa dei vertici del partito e dei gruppi parlamentari in un comunicato scritto insieme all’avvocato il giorno in cui Berlusconi ha depositato la memoria di contestazione del voto del 4 ottobre, la tesi è contraddetta da diverse dichiarazioni di espoenti del suo partito.



3. Le elezioni anticipate? Difficile che Berlusconi pensi ad un atteggiamento bonario del Capo dello Stato e dei presidenti delle Camere ed ad un aiuto da parte dei suoi avversari al fine di evitare il voto in aula sulla decadenza da senatore ed andare alle elezioni immediatamente essendo ancora candidabile. È evidente che la prima conseguenza della crisi aperta è l’accelerazione del voto contro di lui e l’immediato ricompattamento del Pd per un governo che cambi la legge elettorale e faccia la finanziaria. Mentre nei giorni scorsi il Pd era dilaniato, ora Berlusconi ha reso più facile il compromesso finalizzato a “blindare” Letta nell’immediato, assicurando la candidatura di Renzi alle elezioni in coincidenza con le europee.



Berlusconi per andare al voto subito con il “porcellum” può contare solo su Grillo, che non può d’altra parte contare su tutti i suoi senatori nell’affiancare Berlusconi.

Certamente Berlusconi ha le sue ragioni in quanto è innegabile l’accanimento giudiziario, e la retroattività della legge Severino rappresenta una forzatura. Ma perché allora queste mosse, che portano il Pdl con la pistola ormai scarica in totale isolamento ed in contrapposizione frontale con tutti con la prospettiva comunque di una molto probabile sconfitta elettorale? Pensare di vincere una campagna elettorale da “ultima spiaggia” fatta parlando di Iva con il leader ai servizi sociali additato come responsabile del caos ed il partito sfasciato, non è certo realistico.

Né è attendibile la versione di un Berlusconi plagiato da suoi subordinati. Che cosa egli abbia realmente in animo allo stato attuale non emerge alla luce del sole. Oggi egli abbandona ogni tavolo di dialogo e trattativa istituzionale ed appare impegnato in una operazione di “terra bruciata”, in “splendido isolamento”, con nel Parlamento una testa di ponte di fedelissimi pronti a tutto contro tutti. Escono di scena persino Gianni Letta e Fedele Confalonieri e rimangono solo la figlia e l’avvocato.

Si delinea così la più grave crisi della storia repubblicana, che coincide con la più grave crisi economica dal dopoguerra che l’Italia vive come unico paese europeo in recessione. A ciò si aggiunge un contesto di generale sfiducia nella classe politica. Una somma di fattori pericolosa per la stessa tenuta democratica ed è ovvio che in una situazione del genere il ruolo di Giorgio Napolitano − per esperienza politico-istituzionale, credibilità internazionale e chiaro disinteresse personale − è naturalmente destinato a crescere.

La rottura consumata dal Cavaliere nei suoi confronti è un altro mistero berlusconiano. Napolitano si era esposto personalmente a favore del lodo Violante per sospendere il voto su Berlusconi rinviando la materia alla Corte costituzionale, ricevendo minacce di impeachement (da M5S e estrema sinistra). Paradossalmente, proprio quando Berlusconi lo accusava di essere il “regista” del giustizialismo il presidente della Repubblica si trovava ad un convegno della Fondazione Craxi dedicato al ruolo svolto dal premier socialista.

Al capo dello Stato tocca quindi gestire una crisi così infuocata che non ha precedenti nemmeno negli anni della “guerra fredda” con in campo i principali partiti che hanno vertici estremamente fragili, incerti e vulnerabili del tutto incapaci − finora − di resistere alle voci più estremiste.