Le crepe nel monolite si sono aperte, si tratta di vedere se arriveranno a minarne per sempre la stabilità. Il blocco intaccato è quello del berlusconismo, le fessure sono i dissensi clamorosi dei ministri pidiellini che si sono dimessi controvoglia, e non solo i loro. C’è il difficile essere “diversamente berlusconiano” di Angelino Alfano, accanto alle critiche più o meno aperte dei vari Lupi, Quagliariello, Lorenzin, De Girolamo, Cicchitto e Sacconi, che si vanno ad aggiungere ai dissociati della prima ora, come Giovanardi, che aveva detto no alle dimissioni forzate da parlamentare da consegnare ai capigruppo.
Il nodo vero della crisi sta tutto lì, nel capire se le crepe si trasformeranno in una frattura vera e propria, tale non solo da garantire una maggioranza al traballante governo di Enrico Letta, ma anche di aprire una fase nuova nell’area moderata. Silvio Berlusconi ne è tanto convinto da aver convocato a tambur battente un’assemblea dei parlamentari che si preannuncia come una resa dei conti nei confronti del dissenso interno. Ma è lo stesso presidente del Consiglio a fotografare la situazione parlando, in collegamento con Fabio Fazio, di momento drammatico per il centrodestra: “Se il centrodestra – ha detto Letta – si sviluppasse verso un centrodestra europeo, moderato nei toni e nei contenuti, sarebbe importante per l’Italia. E la partita politica dei prossimi giorni è legata a questo”.
Fare previsioni risulta praticamente impossibile. Berlusconi non ha dubbi. Per lui separare la propria vicenda giudiziaria dalle sorti del governo si è rivelato impossibile. E ai suoi collaboratori ha confidato di essere sicuro che i dissidenti seguiranno la stessa sorte di Gianfranco Fini e di Futuro e Libertà, essere ridotti cioè a percentuali da prefisso telefonico. In molti sperano che il Cavaliere si sbagli. Se lo augura il Quirinale che non aveva altra scelta che parlamentarizzare la crisi, e che scioglierà le Camere solo dopo aver verificato l’assenza di una maggioranza alternativa.
Ma ad augurarselo sono anche in molti nelle cancellerie europee, che vedono ormai Berlusconi come scomodo interlocutore, e pure nell’ambito del Partito Popolare Europeo, dove prima o poi si discuterà a chi spetti il riconoscimento di filiale italiana del Ppe. Una richiesta avanzata dal capogruppo di Scelta Civica alla Camera, Lorenzo Dellai.
Difficile capire, invece, in quanti nel Pd si augurino una rapida evoluzione dell’area moderata verso un centrodestra di stampo europeo. Di sicuro, oltre a Letta, la auspica Gugliemo Epifani, mentre colpisce il silenzio di Matteo Renzi, che ancora non ha deciso come muoversi nel nuovo scenario apertosi dalla scelta di Berlusconi di andare allo scontro frontale, nella speranza di andare alle urne al più presto, evitando il voto sulla propria decadenza da parlamentare.
L’assenza di dichiarazioni da parte del sindaco di Firenze rende evidente che dentro il Pd la partita per la leadership non è affatto chiusa. Il vero avversario di Renzi non è però né Gianni Cuperlo, né Gianni Pittella. L’unico che gli può ragionevolmente contendere la futura candidatura a Palazzo Chigi è proprio Enrico Letta, e molto dipenderà da come questo difficile passaggio sarà superato dall’attuale premier. Il suo piano è quello di chiudere la crisi senza aprirla. Se il suo appello di mercoledì in Parlamento dovesse trovare ascolto, e quindi l’azione del governo dovesse continuare almeno sino a primavera (per fare almeno la legge di stabilità e la riforma della legge elettorale), le quotazioni di Letta salirebbero, e questo costituirebbe un intralcio non da poco per la marcia trionfale di Renzi.
Nel campo moderato la confusione è ancora più elevata, e Berlusconi è ancora il padrone della scena. Potrebbe però non rimanerlo a lungo, sia perché per il voto sulla sua decadenza è questione di pochi giorni, sia perché per la prima volta in vent’anni la sua leadership è davvero messa in discussione. L’appello di Maurizio Lupi affinché Angelino Alfano si metta in gioco per “la buona e giusta battaglia” per costruire una forza politica che rifiuti gli estremismi è il sintomo che qualcosa si è messo in movimento. Il “così non va” pronunciato dal ministro delle Infrastrutture può essere il nuovo inizio di un percorso ancora in fase embrionale, a cui manca soprattutto un punto di riferimento credibile, un leader, che sappia contrapporsi alla furia distruttrice dei falchi, cui sembra aver definitivamente ceduto Silvio Berlusconi.
Il finale di questa storia ventennale che si chiama berlusconismo e che è un tutt’uno con la cosiddetta “seconda repubblica”, non è però ancora scritto, e neppure scontato. Sino al dibattito parlamentare di mercoledì potrebbe ancora riservare sorprese e colpi di scena. Dopo, in un modo o nell’altro, la strada sarà segnata.